Recensione – Seni e uova di Mieko Kawakami

Signore e signori, ci troviamo dinanzi uno dei migliori libri del 2020. E non lo dico soltanto io, lo dicono anche il New York Times e il Time, che hanno incluso Seni e uova tra i libri must-read di quest’anno. Inoltre, Seni e uova ha vinto il prestigioso premio Akutagawa. La Kawakami ha scritto una storia potente, attuale e commovente, toccando temi molto delicati come la sessualità, la maternità e il ruolo delle donne. Edizioni e/0, porterete tutti gli altri libri di questa autrice pazzesca in Italia, vero?

Scheda del libro

Titolo Seni e uova
Autore Mieko Kawakami
Data 2019
Pubblicazione italiana 2020
Editore Edizioni e/o
Traduttore Gianluca Coci
Titolo originale 乳と卵
Pagine 624
Reperibilità Reperibile in cartaceo e in ebook

Trama

Seni e uova ha una delle introduzioni più belle di sempre, di quelle che ti rimangono subito impresse:

Quando voglio sapere se una persona è nata povera, non c’è niente di meglio che chiederle quante finestre c’erano nella casa in cui è cresciuta. Non serve fare domande su ciò che mangiava e sui vestiti che indossava. Per scoprire il grado di povertà è essenziale conoscere il numero delle finestre. Sì, proprio così, perché secondo me esiste una correlazione diretta tra povertà e finestre. Nella maggior parte dei casi, se le finestre erano poche o addirittura assenti, è abbastanza facile intuire quanto una persona sia stata povera.

La povertà è un argomento che fin da subito viene affrontato nel testo: Natsu e la sorella Makiko sono cresciute con la madre e la nonna (il padre è un fannullone che a un certo punto sparisce del tutto), ma ben presto si ritrovano sole e costrette a lavorare.

Da allora non ho mai smesso di lavorare, ho sgobbato quasi tutti i giorni della mia vita. Di quel periodo tra scuole medie e liceo, tra quando mamma è stata portata via da un cancro al seno e nonna Komi da un cancro ai polmoni, non ho quasi ricordi. Perché, a parte lavorare, non potevo fare molto altro che dormire e mangiare per recuperare le forze.

Seni e uova – Prima parte

Nella prima parte di Seni e uova, Natsu ospita a Tokyo per qualche giorno la sorella e la nipote Midoriko, che vivono ad Osaka. Il titolo del romanzo lo si intuisce da queste prime pagine: Makiko da qualche tempo è ossessionata dall’idea di rifarsi il seno, la figlia Midoriko (che ha deciso di non parlare più alla madre), pensa continuamente ai cambiamenti del suo corpo e alle mestruazioni. Il corpo in generale è uno dei punti focali del romanzo: Makiko si è sottoposta a un trattamento molto doloroso per rendere i capezzoli più rosa. Il suo lavoro in un locale come hostess forse può spiegare in parte la sua ossessione per l’aspetto fisico, anche perché lei non spiega davvero perché vuole rifarsi il seno: le due sorelle hanno discusso allo sfinimento di prezzi, terapia, tipologia di intervento… ma mai di motivazione. Natsu ci regala una riflessione molto acuta a questo proposito:

La verità è che davo per scontato che tutte le donne, una volta diventate adulte, assumessero le sembianze delle ragazze procaci delle riviste. Poi, più tardi, mi sono dovuta arrendere alla cruda realtà: il mio corpo non apparteneva a quella stessa specie. La gente ama le cose belle, è inutile negarlo. Tutti vogliono vedere e toccare ciò che possiede grazia e armonia. Tutti sperano e desiderano diventare attraenti. Le cose belle hanno valore. Ma è indubbio che esistono anche persone che hanno poco o nulla a che fare con la bellezza. È così che funziona.

Attraverso le pagine di diario di Midoriko abbiamo accesso ai suoi pensieri e comprendiamo perché si è chiusa nel suo silenzio. Voglio riportare un passaggio del suo diario che mi ha incuriosito molto relativamente al rapporto tra donne e religione:

Alla fine, la cosa che mi ha lasciata più perplessa, per non dire peggio, è che le donne non possono raggiungere il nirvāna dopo la morte. Il motivo, per farla breve, è che sono sporche e impure. In passato sono state scritte migliaia e migliaia di pagine su questo argomento, il concetto è stato spiegato in modo dettagliato, e pare che l’unica via che permetta a una donna di raggiungere il nirvāna sia quella di rinascere uomo… Ma non è pazzesco? Quando Jun-chan me l’ha detto non ci volevo credere. «Ma come diamine si fa a rinascere uomini?» le ho chiesto. E lei ha fatto di nuovo una faccia allibita e ha risposto semplicemente: «E io che ne so?». Allora non ci ho visto più e le ho detto che secondo me era assurdo avere fede nel buddhismo e in stupidate del genere. Non ci siamo più scambiate una parola e siamo tornate ognuna a casa propria senza nemmeno salutarci.

L’ultimo giorno di permanenza dalla parente la situazione subisce un’escalation che porta a una scena memorabile, che metto sotto spoiler.

Mostra spoiler

L’ultima sera di permanenza Makiko non torna all’orario prestabilito e ha il cellulare spento. Quando torna a casa, ubriaca, lei e la figlia hanno un confronto molto duro e pesante che sfocia in una scena surreale: entrambe si spiaccicano delle uova in testa.

E invece d’un tratto ha alzato la testa, ha afferrato la confezione di uova che avevo messo nel lavello con l’intenzione di gettarla, e l’ha aperta con rapidità impressionante. Poi ha preso un uovo con la mano destra e l’ha sollevato in alto. E, nell’attimo in cui ho pensato che lo avrebbe scagliato lontano, le lacrime hanno iniziato a zampillarle letteralmente fuori dagli occhi – giuro che non sto esagerando, sembrava la scena di un manga – e se l’è schiacciato con forza sulla testa. Accompagnato da uno schiocco vibrante, il tuorlo è schizzato in tutte le direzioni, e Midoriko ha cominciato a strofinarsi i capelli con la mano impiastricciata facendo schiumare l’albume.

La prima parte si risolve in maniera positiva: Makiko e Midoriko ritornano ad Osaka con un’atmosfera più distesa rispetto a quando sono arrivate.

Seni e uova – Seconda parte

La seconda parte di Seni e uova è la più corposa – circa il 70% del romanzo – e si svolge dieci anni dopo la prima parte. La protagonista è sempre la nostra Natsu, questa volta attorniata da molti più personaggi: ci sono le ex colleghe del lavoro in libreria (tra cui spicca Konno), l’editor Sengawa e la collega scrittrice Yusa, insieme alle meno presenti Makiko e Midoriko. Questo è il primo romanzo in cui leggo di un personaggio asessuale: Natsu, infatti, non prova piacere nei rapporti sessuali, ma sofferenza: è questo il motivo che porta alla fine della sua prima storia.

Ero assolutamente incapace di comprendere il loro desiderio sessuale, il piacere della carne e il loro modo di sentirsi donne. E mentre ascoltavo i loro discorsi e facevo ricerche, mi resi conto che ero diversa e non possedevo quel desiderio che loro esprimevano in modo libero e genuino parlando di voglia irrefrenabile di fare l’amore, di stringersi al proprio compagno, farsi toccare e penetrare.

La questione della sessualità si collega al desiderio di maternità: Natsu vorrebbe un figlio, ma come può fare senza la controparte maschile? Da qui si dipanano tutta una serie di riflessioni sulla maternità e sui rapporti tra uomo e donna. Seni e uova propone molti personaggi con diversi punti di vista, che si spostano lungo un continuum autonomia-dipendenza: a un estremo abbiamo donne che accettano passivamente il loro ruolo di moglie e madre pur non desiderandolo particolarmente, all’altro estremo ci sono donne che prendono delle decisioni che potremmo definire non convenzionali per i nostri tempi. Le colleghe di Natsu, ad esempio, ad un pranzo discutono sull’eventualità di donare un rene al proprio marito: tutte dicono di sì, ma per dei motivi che non hanno niente a che fare con l’amore…

«Poco fa Yūko ha detto che dopotutto sarebbe la cosa più corretta da fare, perché si tratta del proprio compagno, di una persona di famiglia» ha continuato Yoshikawa. «Ma secondo me questo conta solo in parte, perché all’atto pratico quello che importa è che il marito possa continuare a lavorare. Se muore, la famiglia non può più permettersi il tenore di vita di prima, no? Sarebbe una tragedia nella tragedia».

Natsu inizia quindi a documentarsi sulle strade alternative come l’inseminazione, sebbene in Giappone sia prevista solo per le coppie. Per le madri single, ci si può rivolgere a un donatore che volontariamente dona il suo seme in una siringa. Natsu si interroga continuamente sul suo desiderio di maternità:

Un giorno darò anch’io alla luce un bambino? Prima o poi toccherà anche a me? Potrò essere madre anche se non desidero un uomo al mio fianco e non voglio fare l’amore?

Non mi dilungherò oltre il percorso duro e intenso di Natsu, spero che vogliate anche voi andare fino in fondo per conoscere le sue scelte.

Storie di donne

Contrapposta alla storia atipica di Natsu c’è quella regolare e “standard” di Konno, con la quale la protagonista esce a cena per natale. Konno si è sposata e ha una figlia, ma non sente un legame particolare né con l’una né con l’altro.

La gravidanza e il parto sono andati benissimo, non ho avuto problemi. Ma subito dopo ho cominciato a stare male, ero sempre stanca e svogliata. Ora esistono molte cure per la cosiddetta depressione post-parto, o almeno così ho sentito dire, ma fino a qualche anno fa c’era poco o niente e soprattutto non se ne parlava. Mio marito non si è sprecato più di tanto per aiutarmi. Anzi mi rimproverava e non faceva altro che ripetermi cattiverie del tipo: “Tutte le donne partoriscono, è una cosa naturale. Ma tu continui a lamentarti e a farla tragica, come se fosse l’impresa più difficile del mondo”. Oppure, mentre ridacchiava con evidente malizia, mi diceva: “Anche mia madre e milioni di altre donne hanno avuto figli. Forse tu sei speciale? O stai solo esagerando, come al solito?”».
«Assurdo…» ho bisbigliato, prima di mandare giù l’ultimo sorso di birra.
«Sì, ti giuro che ero giunta al limite della sopportazione, ed è stato proprio allora che mi sono detta: “Se un giorno quest’uomo si ammalerà di tumore o di un’altra grave malattia e soffrirà, io gli starò accanto fino all’ultimo e gli ripeterò fino alla noia: ‘Il cancro e le malattie sono cose naturali, milioni di persone li hanno avuti. Forse tu sei speciale? O stai solo esagerando, come al solito?’”. Ero arrivata a odiarlo con tutta me stessa, non sopportavo più neanche la sua vista». Konno ha sbuffato col naso, mi ha guardata negli occhi e si è lasciata andare a una risatina.

Ma tra me e mio marito, come puoi immaginare, si era scavato un solco profondo. Ci parlavamo solo lo stretto necessario e non avevamo più rapporti intimi, in pratica vivevamo da separati in casa. In casi del genere, di solito una donna si aggrappa più che mai ai figli, no? I figli diventano l’unica ragione di vita, l’unico motivo per cui andare avanti e superare le difficoltà quotidiane. Ma per me era diverso… Nel senso che, anche se con mio marito era diventato un inferno, non riuscivo a sentire nei confronti di mia figlia un’intimità tale da farmi pensare: “Ecco, non m’importa niente di tutto il resto, io e te saremo unite per tutta la vita e staremo sempre bene”. A volte mi sentivo persino a disagio».
«A disagio? Con tua figlia?».
«Ripeto: amo mio figlia, le voglio un bene dell’anima e farei qualsiasi cosa per lei» ha risposto all’istante Konno, dopo aver preso un sorso di sake e annuendo ripetutamente. «Eppure, a parte questo, provo una strana sensazione… Non so spiegarmi troppo bene, ma è come se sentissi che non potrò stare a lungo con lei, ed è per questo che dico che il nostro legame non è fortissimo e indissolubile… Crescerà in fretta, comincerà a odiarmi e andrà via di casa, e io non reagirò chissà come, perché in fondo la considererò una cosa normale. Una cosa che fa parte della vita, che succede più o meno a tutti e contro cui c’è poco o nulla da fare.

La Kawakami qui tocca un tasto molto particolare: l’idea che i figli possano essere un appiglio a cui aggrapparsi, un motivo per vivere. Ma non tutte le persone la vivono in questo modo, e Konno si interroga sulla sua vita in qualche modo ormai segnata e senza possibilità di riscatto. Un altro parere diverso ce lo offre l’editor Sengawa, che ha una posizione molto decisa riguardo il non avere figli:

«Quando leggo o sento parlare di queste cose» ha proseguito Sengawa sorseggiando pian piano il suo whiskey e sollevando le labbra in un lieve sorriso, «o anche quando le colleghe con figli piccoli si lamentano di essere stanche e di non farcela più, ti giuro che mi prende il nervoso e non posso fare a meno di pensare che siano solo delle grandi egoiste, donne superficiali e prive di raziocinio. Sapevano a cosa andavano incontro, nessuno le ha costrette ad avere figli, eppure hanno preferito non porsi il problema e ora si lamentano. E no, care mie, l’avete voluto voi! Adesso il problema è vostro e ve lo tenete! Non si mette al mondo un figlio come se niente fosse, bisogna riflettere ed essere consapevoli di ciò che si fa. Hai voluto un figlio? Bene, ora devi essere pronta a lavorare sodo e impegnarti fino allo stremo delle forze per tirarlo su, per molti anni, finché non sarà autonomo e indipendente. Dovrai affrontare insieme a quel figlio mille problemi e momenti difficili: le malattie, gli esami di ammissione a scuola, il periodo ribelle dell’adolescenza, l’ingresso nel mondo del lavoro e tutto il resto. Un figlio ti cambia la vita, sì, ma tu devi essere pronta a scarificarti per lui, devi sapere che non avrai più gli spazi che avevi prima. Altrimenti, come molte donne, quando te ne renderai conto sarà già troppo tardi e non farai altro che lamentarti e soffrire. Diventare madre non è un capriccio, bisogna essere convinte e pronte a sacrificare se stesse. Perciò, anche se non ho mai deciso a priori di non volere figli, ora sono felice di non averne»

Riflessione sul mondo trans

Natsu e Makiko si recano ai bagni pubblici, che in Giappone sono molto frequentati per rilassarsi. Ad un certo punto arriva una persona con dei tratti vistosamente maschili: Natsu si interroga sulle implicazioni della presenza di un trans in un contesto come quello dei bagni pubblici.

Cominciavo a spazientirmi. Quel “lui” era una donna, non c’erano dubbi, altrimenti non avrebbe mai avuto accesso al settore femminile dei bagni pubblici. Eppure la situazione era in qualche modo innaturale, e non a caso mi sentivo a disagio e non riuscivo a non pensarci. O forse ero io a essere strana? E come si sentiva quella persona, circondata da sole donne? Quella persona nata in un corpo biologicamente femminile, ma che si riteneva un uomo a tutti gli effetti, era a suo agio nel settore femminile di un bagno pubblico? Ma certo che sì, era chiaro che non aveva problemi, sennò non ci avrebbe mai messo piede. Il problema, semmai, avremmo dovuto porcelo noialtre e pensare qualcosa del tipo: “È giusto che questa persona stia qui con noi e debba vedere i nostri corpi nudi?”. Quella persona si identificava come uomo e, nella sua presunta veste eterosessuale, al di là che provasse interesse o meno nei nostri confronti, percepiva il nostro corpo come appartenente all’altro sesso. Qual era l’elemento che lo differenziava da un comune uomo e gli permetteva di trovarsi in mezzo a noi? In fondo non era la stessa cosa? Se si sentiva un uomo non era anche lui un uomo? Immersa nell’acqua fino al mento, ho strizzato gli occhi e mi sono rimessa a fissarlo. La mia iniziale irrequietezza si è trasformata a poco a poco in pura rabbia. Lui e la sua fidanzatina bionda erano una coppia eterosessuale, che cosa diavolo ci facevano in un settore riservato a sole donne? Come si erano permessi di entrare senza neanche porsi il problema? Lì, in silenzio, riflettevo sull’eventualità di avvicinarmi a quell’individuo ed esporgli i miei dubbi in totale schiettezza. Era una questione molto delicata ed era assai probabile che ne sarebbe scaturita una discussione tutt’altro che mite.

Di certo non possiedo le risposte a questi interrogativi, ma ho trovato questa tematica molto interessante: anche qui, la Kawakami fa delle riflessioni audaci che difficilmente si riscontrano nella narrativa giapponese.

Stile

Un ultimo appunto sullo stile della Kawakami. L’autrice non si risparmia coi dettagli: è incredibilmente meticolosa e specifica. Una delle parole più ricorrenti è… sudore.

Di colpo ho avuto la sensazione che l’aria intorno a noi fosse diventata più pesante, e al contempo che la viscosità del sudore attaccato alla pelle fosse aumentato. Ho avvertito una contrazione allo stomaco e un rigurgito acido, un lieve sapore di succhi gastrici in bocca. Non mettevo niente di solido sotto i denti da quel mattino e forse la mia mucosa gastrica stava producendo acido cloridrico in eccesso. Tuttavia, a parte qualche fievole brontolio dello stomaco, non avevo molta fame. Mi sono toccata il naso con la punta dell’indice e mi sono accorta che era unto e viscido di sebo.

La descrizione di Makiko mi è rimasta particolarmente impressa: l’autrice è impietosa verso questa donna che cerca in tutti i modi di fermare l’età che avanza. La metto sotto spoiler perché è un po’ lunga.

Mostra descrizione di Makiko
Makiko era molto cambiata. Era invecchiata. Tutti noi cambiamo e invecchiamo con il passare degli anni, ma in quell’istante mi sembrava di avere davanti agli occhi la prova tangibile che mia sorella si stesse lasciando per sempre alle spalle l’ultimo bagliore di giovinezza. Era prossima alla fatidica soglia dei quarant’anni, non era più quella di una volta, e non mi sarei stupita più di tanto se invece di quaranta ne avesse avuti per esempio cinquantadue o cinquantatré. Non è mai stata molto in carne, ma le braccia, le gambe e i fianchi erano più ossuti del solito. Non lo so, forse un po’ era anche colpa degli abiti che indossava: una T-shirt a fantasia che sarebbe stata bene a una ventenne, jeans aderenti a vita bassa e sabot rosa con tacco di cinque o sei centimetri. Al pari di tante sue coetanee che ultimamente si conciavano in quel modo, da dietro dava l’impressione di una ragazza molto giovane, ma non appena si voltava dimostrava di colpo tutti i suoi anni, grottesca da far paura. Comunque, a parte il netto divario tra il look e l’età, sia il corpo sia il viso erano più ossuti del normale, e anche il colorito non era granché, mancava della naturale vivacità. I denti finti erano ingialliti e spiccavano oltre il dovuto, e le gengive sembravano annerite, forse per via della parte metallica alla radice. I capelli le si erano diradati, e per giunta la tinta era sbiadita e la permanente risaliva a chissà quando. Si intravedeva il cuoio capelluto, lucido di grasso e sudore. Il fondotinta in eccesso creava qua e là uno spiacevole effetto grumoso e accentuava le rughe. Quando rideva le vene del collo sporgevano al punto da poterle afferrare, e gli occhi invece erano completamente infossati nelle orbite. Più la guardavo e più mi veniva in mente nostra madre nei suoi ultimi anni di vita. Era una somiglianza dovuta solo all’età? O forse nel corpo di Makiko covava qualcosa di simile a ciò che ci aveva private di nostra madre quando eravamo ancora molto giovani? Sono stata più volte sul punto di manifestarle la mia preoccupazione e chiederle se si fosse sottoposta a qualche check-up di recente, ma alla fine ho desistito, dicendomi che di sicuro doveva averci già pensato. In ogni caso non sembrava avere problemi, forse mi ero solo suggestionata. Era allegra, piena di vita e pareva essersi ormai abituata all’atteggiamento ostile della figlia.

Siccome sono gentile, vi risparmio una parte davvero disgustosa sullo sperma.

Conclusioni

Seni e uova è un libro spettacolare, che non posso fare a meno di consigliare assolutamente. Dovrebbe far parte di ogni gruppo di lettura. Dovrebbe essere diffuso capillarmente. È innovativo per stile ma soprattutto per tematica: sessualità, maternità, famiglia, morte, dolore, depressione, estraniamento, socialità, perversione: vengono trattate tantissime tematiche in una chiave realistica e attuale. Ribadisco: il libro migliore del 2020. Uno dei libri migliori mai letti, oserei dire.

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