Recensione – A sud del confine, a ovest del sole di Haruki Murakami

A sud del confine, a ovest del sole è un tipico romanzo di Haruki Murakami, scritto nel 1992. Dico tipico perché sono presenti alcuni degli elementi classici di questo scrittore: la storia di una persona dall’infanzia all’età adulta, la passione per il jazz, la fissazione verso le donne e il sesso. In questo caso, ci troviamo dinanzi un’opera che non rientra nel realismo magico, sebbene alcuni dettagli possano far sembrare il contrario. Murakami ha il magico potere di catturarmi nelle sue storie, e A sud del confine, a ovest del sole non fa eccezione: l’ho letto in tre giorni, completamente avvinto.

Scheda del libro

Titolo A sud del confine, a ovest del sole
Autore Haruki Murakami
Data 1992
Pubblicazione italiana 2000
Editore Feltrinelli, Einaudi
Traduttore Mimma De Petra
Titolo originale 国境の南、太陽の西 [Kokkyō no minami, taiyō no nishi]
Pagine 210
Reperibilità Reperibile in cartaceo e in ebook

Trama

Hajime nasce il 4 gennaio del 1951 in una piccola e tranquilla cittadina giapponese. Il protagonista osserva che, a quei tempi, era raro per una famiglia giapponese avere soltanto un figlio: di norma erano due, o tre. Hajime, essendo figlio unico, avverte una sensazione di inadeguatezza e inferiorità, collegata probabilmente ai giudizi della gente sulla faccenda. Alle elementari, si lega in particolare con una bambina, Shimamoto, anch’essa figlia unica. I due sono vicini di casa e passano molto tempo a casa di lei ad ascoltare dei vecchi LP. Shimamoto zoppica leggermente alla gamba sinistra a causa della poliomelite contratta subito dopo la nascita, un dettaglio importante che ritornerà spesso nella storia. Il sentimento che prova Hajime verso questa bambina è molto forte, e viene rappresentato bene dalla scena in cui si tengono per mano per la prima volta:

Solo una volta capitò che ci tenessimo per mano, mentre mi stava indicando la direzione da prendere. “Vieni da questa parte,” mi aveva detto. Eravamo rimasti mano nella mano per circa dieci secondi che a me erano sembrati trenta minuti. Quando aveva lasciato andare la mia mano, avevo desiderato che continuasse a stringermela più a lungo. Il suo era stato un gesto spontaneo, ma avevo intuito che anche lei avrebbe voluto prolungare la stretta.
Il ricordo di quel contatto è ancora vivo nella mia memoria. Era una sensazione mai provata prima e che, anche dopo, non mi è mai più capitato di avere. Era solo la mano piccola e calda di una ragazzina di dodici anni, ma sentivo che in quelle cinque dita e in quel palmo era racchiuso, come in una minuscola vetrinetta, tutto quello che c’era da sapere sulla vita. Prendendomi per mano mi aveva reso partecipe di quei segreti. Mi aveva fatto capire che nel mondo reale esisteva davvero un posto come quello.
In quei dieci secondi avevo avuto la sensazione di essere diventato un uccellino. Mi sembrava di volare e di sentire la forza del vento. Da lassù riuscivo a scorgere in lontananza un paesaggio, ma era troppo distante e non ne potevo cogliere i particolari. Sentivo, però, che quel segreto doveva trovarsi lì. Il pensiero che prima o poi ci sarei arrivato mi toglieva il respiro e mi faceva palpitare.
Tornato a casa, mi sedetti davanti alla scrivania della mia camera e rimasi a lungo a fissare la mano che Shimamoto aveva afferrato. Ripensai con piacere a quel dolce contatto. Per un po’ di giorni fui come inebriato da quel ricordo, ma anche confuso e triste. Non capivo, infatti, come comportarmi di fronte a quella nuova sensazione.

I due si separano alle medie e perdono i contatti. Tuttavia, Shimamoto rappresenterà sempre un chiodo fisso nella vita di Hajime: nonostante gli anni che passano e le donne che entrano ed escono dalla sua vita, quella bambina gli è rimasta impressa in modo indelebile.

Arrivati a questo punto dell’articolo, preferisco parlare a ruota libera senza nascondere gli spoiler: quindi, se non avete letto il libro, vi consiglio di non continuare.

Hajime

Il protagonista della storia è un uomo a tutto tondo che ci viene mostrato nei suoi pregi e nei suoi limiti: una persona che non sa bene cosa fare della propria vita, che si muove un po’ a tentoni:

Non mi interessava quasi nulla di quello che mi insegnavano all’università: trovavo la maggior parte delle lezioni inutile, noiosa e per niente stimolante. Ero così preso dai miei lavoretti part-time che a malapena mi facevo vedere in facoltà. Fu solo fortuna se riuscii a laurearmi in quattro anni. Mi ero trovato anche una ragazza con la quale, al terzo anno di università, andai ad abitare per quasi sei mesi. Alla fine, però, le cose tra noi non andarono per il verso giusto. In quel periodo non avevo la minima idea di che cosa volessi dalla vita.

Hajime è anche una persona consapevole di aver fatto del male a tante persone: ad esempio Izumi, la sua prima fidanzata, che tradiva con la cugina.

Facendo soffrire Izumi, avevo fatto del male anche a me stesso e più profondamente di quanto mi fossi reso conto. Avrei dovuto trarre insegnamento da quell’esperienza. A ripensarci adesso, a distanza di anni, l’unico fatto innegabile era che io ero capace di commettere il male. Non avevo mai pensato di voler procurare dolore a qualcuno ma, se necessario, ero capace di trasformarmi in un essere egoista e crudele. Avevo ferito in modo irreparabile e definitivo la persona a me più cara, inventando delle scuse. L’ingresso all’università significò per me un altro trasferimento in una nuova città, una nuova consapevolezza di me stesso e l’inizio di una nuova vita. Diventare un nuovo “Hajime” mi avrebbe permesso di rivedere gli errori del passato. All’inizio mi sembrava possibile, ma alla fine mi resi conto che dovunque andassi sarei rimasto sempre lo stesso. Ripetei gli identici errori del passato, feci soffrire altre persone e feci del male anche a me stesso, proprio come avevo fatto una volta. Avevo appena compiuto venti anni, quando arrivai improvvisamente alla conclusione che non sarei mai diventato una persona degna di fiducia. Commisi diversi sbagli. O forse, più che sbagli, erano una parte imprescindibile di me. Quest’idea mi riempiva di amarezza.

Con poche frasi Murakami ci restituisce il ritratto di una persona inaffidabile e incurante di far star male gli altri: quegli sbagli che non sono solo incidenti di percorso, ma parti caratterizzanti del suo essere… che brividi. Dopo anni passati a fare un lavoro insoddisfacente senza relazioni significative, Hajime incontra la donna che sposerà, Yukiko. Il padre della donna gli permette di avviare dei ristoranti in cui si suona musica jazz, un lavoro molto soddisfacente e redditizio. Hajime quindi si ritrova a 30 anni con una “nuova” vita, una moglie con cui ha un legame molto stretto, due figlie e un lavoro entusiasmante: tutti gli ingredienti per una vita perfetta, o almeno così sembrerebbe. Eppure qualcosa lo turba, qualcosa stona in questo quadretto idilliaco: Hajime tradisce la moglie, non si sente molto a suo agio con gli investimenti del suocero, il suo passato lo inquieta. Incontrando un compagno di classe del liceo, scopre che Izumi ha fatto una brutta fine: solitaria e spenta, nessuno sa niente di lei e il suo aspetto “spaventa i bambini”. Il discorso fatto da questo compagno non è proprio il massimo dell’ottimismo…

“Certo che il tempo cambia le persone, in vari modi. Non so che cosa ci sia stato allora tra te e lei, ma, comunque sia andata, non è stata certo colpa tua. A chi più, a chi meno, è capitato a tutti di avere un’esperienza del genere, perfino a me. Dico sul serio, è successo anche a me. Così vanno le cose a questo mondo! La vita di una persona appartiene a quella persona. Non ci si può sostituire a lei e assumersi la responsabilità della sua vita. È come essere in un deserto, non c’è altro da fare che abituarsi. Alle elementari hai mai visto il film di Walt Disney Il deserto vivente?”.
“Sì,” risposi.
“Questo mondo è come quel film. Se c’è la pioggia, i fiori sbocciano e se non ce n’è, appassiscono. Gli insetti vengono mangiati dalle lucertole e queste, a loro volta, vengono divorate dagli uccelli, ma, alla fine, tutti muoiono comunque. Tutto muore e inaridisce. Finita una generazione, ne viene un’altra. È così che vanno le cose. Tutti vivono e muoiono in tanti modi, ma non è questo quello che conta. Alla fine ciò che rimane è il deserto. È il deserto quello che vive veramente!”

Shimamoto

Shimamoto è la principale ossessione di Hajime: sono passati tantissimi anni, eppure lui non riesce a dimenticarla. Effettivamente loro si rivedono in uno dei locali, e lei fa la parte della donna misteriosa: non rivela quasi niente di sé e della sua vita attuale.

“Devo confessarti che non ho mai lavorato in vita mia,” disse Shimamoto. “Neanche una volta?” “Non una sola volta. Né lavori part-time né impieghi fissi. Non ho mai sperimentato quello che tutti chiamano lavoro. È per questo che ti invidio quando ti sento fare questi discorsi. Nella mia vita non ho fatto altro che starmene da sola a leggere libri e a pensare come spenderlo, il denaro, non come guadagnarmelo.” A queste parole, distese le braccia davanti a me. Al polso destro portava due sottili braccialetti d’oro e al sinistro un costosissimo orologio anch’esso d’oro.

Non solo: in passato, si era verificato un classico episodio onirico alla Murakami: Hajime insegue una donna che zoppica che sembra Shimamoto, senza però vederla mai in faccia; viene fermato da un uomo che le intima di dimenticare la faccenda e gli dà 10.000 yen. L’episodio assurdo viene ricordato dalla donna al loro incontro al bar: Shimamoto gli chiede perché l’abbia inseguita anni prima. I due riprendono a frequentarsi, o meglio: Shimamoto arriva quando le pare al bar, i due parlano tantissimo (ma del nulla), poi lei sparisce per mesi e ritorna all’improvviso… Hajime è completamente perso per lei, e la donna sembra ricambiare. I due fanno un viaggio insieme: prendono l’aereo per andare in una zona specifica con un fiume particolare: Shimamoto deve gettare le ceneri della figlia morta dopo appena un giorno dalla nascita. Come prevedibile, la donna infine sparisce senza lasciare traccia: ciò avviene dopo una notte di sesso descritta nei minimi particolari. Al risveglio, Shimamoto è andata via; Hajime non la rivedrà mai più. I due si erano giurati amore eterno, e quel dialogo è davvero bello per quanto… irreale. L’uomo cerca i famosi soldi nascosti in un cassetto, ma non li trova: da qui il dubbio che questa faccenda sia frutto di fantasia.

Yukiko

Non sappiamo molto di Yukiko, la moglie di Hajime: molto emerge di lei in un dialogo parecchio intenso, verso la fine di A sud del confine, a ovest del sole.

“Sei innamorato di un’altra donna, non è vero?” disse Yukiko, guardandomi fisso negli occhi. Feci cenno di sì con la testa. Pensai che Yukiko doveva aver ripetuto nella sua mente quella frase infinite volte. Dalla sua voce percepivo la chiarezza e il peso di quelle parole.
“Quindi ami questa donna, non l’hai fatto solo per divertirti.”
“Sì,” risposi. “Non è stata solo un’avventura, anche se le cose non stanno proprio come tu pensi.”
“Perché, tu sai quello che penso io?” fece lei. “Sei convinto di sapere esattamente quello che passa nella mia mente?” Non risposi, non riuscii a dire nulla. Anche Yukiko rimase in silenzio. Si sentiva solo la musica a basso volume. Era Vivaldi o Teleman, ma non riesco a ricordare di che pezzo si trattasse.
“Secondo me, tu non puoi capire che cosa penso,” disse Yukiko, pronunciando le parole lentamente, a una a una, come quando doveva spiegare qualcosa alle bambine. “Tu non puoi capire.” Mi guardò. Capì che non avrei risposto e prese il bicchiere per bere un sorso di whisky. Scosse la testa e continuò: “Sai, non sono così stupida come credi. Vivo insieme a te, dormo insieme a te. È da un pezzo che mi sono accorta che c’era un’altra donna”. La guardai, continuando a rimanere in silenzio. “Non ti sto rimproverando. Se è vero che ami un’altra donna, nessuno può farci niente: al cuore non si comanda. Forse io non ti basto più, lo capisco. Finora le cose tra noi sono andate sempre bene, tu hai fatto molto per me e gli anni vissuti insieme sono stati felici. Credo che mi ami ancora, ma resta il fatto che io non ti basto più. Immaginavo che sarebbe accaduto, prima o poi, era inevitabile. Perciò non ti sto rimproverando di esserti innamorato di un’altra donna. Non sono neanche arrabbiata, può sembrare strano, ma non provo alcun rancore nei tuoi confronti. Provo solo dolore, tanto dolore, molto più di quanto avessi mai potuto immaginare!”
“Mi dispiace.”
“Non c’è bisogno di scusarti. Se vuoi lasciarmi, sei libero di farlo, non mi opporrò. Vuoi lasciarmi?”
“Non lo so,” risposi.
“Ma posso provare a spiegarti?”
“Spiegarmi che cosa? Di te e quella donna?”
“Sì.” Yukiko scosse la testa e disse: “Non voglio sapere niente di lei. Perché vuoi farmi soffrire ancora di più? Non mi interessa sapere che rapporto hai con lei o altro. Non lo voglio sapere! L’unica cosa che voglio sapere è se vuoi lasciarmi oppure no. Non ho bisogno né della casa, né di soldi. E se vuoi le bambine puoi tenertele. Dico sul serio, perciò se hai intenzione di lasciarmi basta che tu lo dica. È solo questo che voglio sapere, non voglio sentire altro. Dimmi sì o no”

Questa conversazione mi ha spiazzato. Rimarrebbero tutti così calmi di fronte all’ammissione di un tradimento? Yukiko è molto pratica nel valutare la situazione, oltretutto sembra rassegnata: parla di “inevitabilità” del tradimento, quasi fosse una cosa di cui aspettarsi “prima o poi”. Mi ha sorpreso anche la freddezza della frase “e se vuoi le bambine puoi tenertele”: è una questione culturale? Mi viene difficile pensare a una madre che con leggerezza voglia liberarsi delle figlie… infine, Yukiko è disposta a restarci nonostante il tradimento. Vuole rimanere insieme per mantenere integra la famiglia? Non è dato saperlo. Murakami è solito dipingere i suoi personaggi come molto distaccati in generale, ma forse è solo la facciata questa. Sappiamo che Hajime prova sentimenti molto forti e passionali, lo abbiamo visto con Shimamoto: era disposto a mollare la famiglia per una donna semisconosciuta. Quindi è possibile che di Yukiko vediamo solo la facciata, senza sapere cosa le si agita dentro davvero. Penserei che il loro sia stato un matrimonio di circostanza, se non fosse che erano davvero innamorati. Insomma, noto delle cose un po’ contraddittorie, il che non è una critica; l’essere umano è spesso ambiguo.

Conclusioni

A sud del confine, a ovest del sole è un romanzo suggestivo sulla vita e sulle passioni umane: non so quale fosse il messaggio che volesse trasmettere Murakami (ammesso che ci fosse, un messaggio), quello che è arrivato a me sono molte emozioni contrastanti, dall’insoddisfazione per il proprio percorso all’ossessione per qualcosa di misterioso e sfuggente. Hajime alla fine decide di provare a cambiare e a darsi una possibilità, liberandosi delle visioni e ancorandosi alla realtà:

“Yukiko,” le dissi. “Da domani ricominciamo tutto da capo. Oggi è troppo tardi, voglio ricominciare tutto a partire da un giorno nuovo!” Yukiko mi guardò fisso e poi disse: “Credo che tu non mi abbia ancora chiesto niente”.
“Domani vorrei cominciare una nuova vita. Tu che ne pensi?” “Penso sia una buona idea,” rispose lei con un sorriso.
Yukiko tornò in camera da letto e io rimasi disteso a guardare il soffitto. Era il soffitto di un normale appartamento, senza niente di speciale. Non c’era assolutamente nulla lassù, ma io continuavo a guardarlo fisso. Ogni tanto vi si proiettava il riflesso dei fanali delle macchine che passavano. Non ero più in balia delle visioni di prima. Il contatto col seno di Shimamoto, il suono della sua voce, l’odore della sua pelle non erano più ricordi così vivi nella mia memoria. Ogni tanto mi tornava alla mente il viso senza espressione di Izumi e il contatto della mia mano col finestrino del taxi che ci divideva. Chiusi gli occhi e pensai a Yukiko. Ripercorsi infinite volte nella mia mente quello che mi aveva detto poco prima. A occhi chiusi, cercai di ascoltare i movimenti interni del mio corpo. Forse stavo cambiando, dovevo cambiare.
Non sapevo ancora se avevo la forza necessaria per prendermi cura di Yukiko e delle bambine. Le illusioni di un tempo non mi avrebbero più aiutato, non avrebbero più creato sogni per me. Non rimaneva che il vuoto, quel semplice vuoto che mi aveva accompagnato per anni e al quale avevo cercato di adattarmi. Ero tornato al punto di partenza, pensai, e dovevo abituarmici. Adesso toccava a me creare sogni per gli altri, sarebbe stato questo il mio nuovo compito. Non conoscevo il potere di questi sogni, ma, se la mia vita aveva un significato, era quello di continuare con tutte le mie forze quest’opera. Forse.

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