Veronika decide di morire è un libro con un gran potenziale che però, a mio avviso, viene del tutto sprecato. L’idea di partenza è molto forte, a partire dal titolo, ma la lettura è costellata di ostacoli, digressioni e trovate improbabili. La mia esperienza con Coelho si limita a due libri: Brida (che ho trovato un po’ presuntuoso) e L’alchimista (di cui non ricordo molto); per cui quando ho deciso di leggere Veronika decide di morire non avevo alcuna aspettativa. Nel complesso non posso dire che sia stata una terribile lettura, ma neanche un libro che consiglierei.
Scheda del libro
Titolo | Veronika decide di morire |
Autore | Paulo Coelho |
Data | 1998 |
Pubblicazione italiana | 1999 |
Editore | Bompiani |
Traduttore | Rita Desti |
Titolo originale |
Veronika decide morrer
|
Pagine | 185 |
Reperibilità | Reperibile in cartaceo e in ebook |
Trama
Veronika decide di morire si apre con la protagonista – Veronika, appunto – che decide di suicidarsi. Ci viene subito specificato, però, che Veronika non è depressa, triste, amareggiata, incapace di sperimentare momenti di buonumore.
Veronika credeva di essere una persona assolutamente normale. La sua decisione di morire era dovuta a due ragioni molto semplici; era sicura che, se avesse lasciato un biglietto di spiegazione, molti sarebbero stati d’accordo con lei. La prima ragione: nella sua vita, tutto appariva identico; e, passata la gioventù, ecco la decadenza: la vecchiaia cominciava a lasciare segni irreversibili, arrivavano le malattie, gli amici se ne andavano… Insomma, continuare a vivere non aggiungeva nulla: anzi, aumentavano considerevolmente le occasioni di sofferenza. La seconda ragione, invece, era più filosofica: Veronika leggeva i giornali, guardava la televisione ed era al corrente di quanto succedeva nel mondo. Era tutto sbagliato, ma lei non aveva alcun modo di contrastare quella situazione, e questo le dava una sensazione di totale inutilità.
La prima ragione viene effettivamente spiegata meglio nel corso del libro: Veronika immagina una vita ripetitiva, tutta uguale, fine a sé stessa. Un qualcosa di sicuramente sconfortante, ma che non viene più di tanto approfondito. Se Veronika è davvero così apatica, Coelho avrebbe dovuto farcelo vedere meglio indagando il suo passato e mostrandocelo nel presente… invece questo non avviene! Veronika sopravvive ai sonniferi e si risveglia in un ospedale psichiatrico.
L’intervento di Coelho
Appena dopo qualche pagina, Coelho si intromette nella storia per raccontare qualcosa di personale:
Paulo Coelho venne a conoscenza della storia di Veronika tre mesi dopo, mentre cenava in un ristorante algerino di Parigi con un’amica slovena; anche lei si chiamava Veronika, ed era la figlia del medico responsabile di Villete. In seguito, quando decise di scrivere un libro su questa storia, pensò di cambiare il nome di Veronika, la sua amica, per non confondere il lettore. Pensò di chiamarla Blaska, o Edwina, o Marietza, o con un qualsiasi altro nome sloveno; alla fine, però, decise di mantenere i nomi reali. Quando avesse fatto riferimento alla sua amica Veronika, l’avrebbe indicata come Veronika, l’Amica. Quanto all’altra Veronika, non occorreva aggiungervi alcuna specifica, perché sarebbe stata il personaggio principale del libro, e ci si sarebbe annoiati leggendo di continuo “Veronika, la Matta”, oppure “Veronika, quella che aveva tentato il suicidio”. E comunque, sia lui sia Veronika, l’Amica, sarebbero entrati nella storia solo in un piccolo brano: quello che segue. Veronika, l’Amica, aveva orrore per ciò che suo padre aveva fatto, soprattutto considerando che era il direttore di un’istituzione che pretendeva di essere rispettabile, e che lavorava a una tesi che avrebbe dovuto essere sottoposta all’esame di una comunità accademica. […] Paulo Coelho volle sapere in dettaglio tutto ciò che era accaduto. Aveva un eccellente motivo per essere interessato alla storia di Veronika: anche lui era stato ricoverato in un “asilo” — in un “ospizio”, per usare il nome con cui era più conosciuto quel tipo di ospedale. Era successo per ben tre volte: nel 1965, nel 1966 e nel 1967. Era stato ricoverato nella Casa de Saùde Dr. Eiras, a Rio de Janeiro. […] Sicché, quando udì la storia di Veronika, Paulo Coelho si rese conto che quello sarebbe stato un modo per affrontare l’argomento senza venir meno ai suoi propositi. Per quanto non avesse mai pensato al suicidio, conosceva intimamente l’universo di un “asilo”: i trattamenti, i rapporti fra medici e pazienti, il conforto e l’angoscia di trovarsi in un posto del genere. A questo punto, lasciamo che Paulo Coelho e Veronika, l’Amica, escano definitivamente dal libro, e proseguiamo con la storia.
Ma… che senso ha questo intervento? Perché spiegarci delle due Veronika? Perché spiegarci adesso dei dettagli sulla genesi del libro? Avrei preferito una postfazione, al massimo un’introduzione… ma così, inserita nella narrazione, ho trovato questo stralcio francamente fuoriluogo.
Il percorso di Veronika
È abbastanza prevedibile che l’intento dell’autore sia mostrarci il percorso di “rinascita” di Veronika all’interno della clinica; peccato che questa cosa venga affrontata in maniera decisamente superficiale. Infatti il libro si risolve nel giro di pochissimi giorni, ed è davvero impensabile una risoluzione del genere:
Psichiatria
Ho trovato la descrizione della clinica un po’ sommaria, tuttavia alcune cose specifiche sono descritte bene; in particolare, Coelho riesce a tradurre i disturbi psichici in un linguaggio accessibile e chiaro. Ad esempio è interessante la descrizione della “follia” (intesa come psicosi):
“Che cos’è un matto?”
“[…] Questa volta ti risponderò senza giri di parole: la follia è l’incapacità di comunicare le tue idee. È come se tu fossi in un paese straniero: vedi tutto, comprendi tutto quello che succede intorno a te, ma sei incapace di spiegarti e di essere aiutata, perché non capisci la lingua.”
“Ma è qualcosa che abbiamo provato tutti.”
“Perché tutti, in un modo o nell’altro, siamo folli.”
Le storie di Zedka, Mari ed Eduard
Una buona parte della narrazione è dedicata alla storia di altri pazienti psichiatrici, che per quanto interessante non aggiunge praticamente nulla al percorso della protagonista. C’è qualche spunto intrigante, come la tesi di Mari che la giurisprudenza nasca da Dio, ma appunto… che c’entra con Veronika decide di morire?
Peccato che Allah, Geova, Dio – quale che sia il suo nome — non fosse vissuto nel mondo di oggi. Perché, in tal caso, noi ci troveremmo ancora in Paradiso, mentre Lui dovrebbe rispondere a ricorsi, appelli, rogatorie, prediche, mandati, preliminari, cercando di spiegare in numerose udienze la propria decisione di scacciare Adamo ed Eva dall’Eden, solo perché avevano trasgredito a una legge arbitraria, priva di fondamento giuridico: “Non mangiare il frutto del bene e del male.”
Ma se Lui voleva che ciò non accadesse, perché aveva piazzato quell’albero proprio al centro del Giardino, e non fuori delle mura del Paradiso? Se fosse stata chiamata a difendere la prima coppia, Mari avrebbe sicuramente accusato Dio di “omissione di atti d’ufficio”: non solo aveva messo l’albero nel posto sbagliato, ma non si era nemmeno premurato di collocare tutt’intorno avvisi e barriere; non aveva adottato le più elementari misure di sicurezza, esponendo chiunque passasse al pericolo.
Mari avrebbe potuto anche accusarlo di “istigazione a delinquere”: aveva attirato l’attenzione di Adamo ed Eva sul punto esatto in cui si trovava l’albero. Se non avesse detto niente, intere generazioni sarebbero passate su questa Terra senza che nessuno si interessasse al frutto proibito, visto che doveva trovarsi in un bosco, fitto di alberi tutti perfettamente identici, e quindi privi di qualsiasi valore specifico.
Ma Dio non agì in questo modo. Al contrario, scrisse la legge e trovò il modo di convincere qualcuno a trasgredirla, per poter inventare il castigo. Sapeva che Adamo ed Eva avrebbero finito per annoiarsi di quella perfezione e che, prima o poi, avrebbero messo alla prova la Sua pazienza. Rimase ad aspettare. Forse anche Lui, il Dio onnipotente, era annoiato che le cose funzionassero in modo perfetto: se Eva non avesse mangiato la mela, che cosa sarebbe accaduto di interessante in questi miliardi di anni?
Niente. […] Dio scacciò la coppia. Anche i loro figli — come accade ancor oggi ai figli dei criminali – pagarono per quel delitto. Fu così che venne inventato il sistema giudiziario: legge, trasgressione della legge (logica o assurda, non ha importanza), processo (dove il più furbo sopraffà l’ingenuo) e castigo.
Poiché l’intera umanità era stata condannata con sentenza inappellabile, gli esseri umani decisero di creare dei meccanismi di difesa, nell’eventualità che Dio volesse nuovamente dimostrare il Suo potere arbitrario.
Ma, nel corso di millenni di studi, gli uomini inventarono così tanti sistemi che finirono per esagerare: la giustizia divenne un groviglio di clausole, giurisprudenze, testi contraddittori che nessuno riusciva a comprendere appieno.
Neanche la storia di Eduard sembra particolarmente plausibile (diventa schizofrenico in seguito a un incidente in bici); in generale le storie aggiuntive sembrano togliere spazio alla trama principale, che necessitava di più approfondimenti.
Conclusioni
Un’occasione sprecata. Sono sicuro ci siano molti libri più interessanti e verosimili sugli ospedali psichiatrici. La lettura tutto sommato non mi è pesata, ma c’è anche da dire che si tratta di un libro molto corto. Non penso di continuare a leggere materiale di questo autore, sinceramente!
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