Recensione – Tutti i figli di Dio danzano di Haruki Murakami

Tutti i figli di Dio danzano: questa raccolta di racconti di Murakami mi ha piacevolmente sorpreso. È un’antologia ormai vecchiotta, scritta alla fine degli anni ’90 e con un fil rouge che accomuna tutti e sei i racconti: il terremoto avvenuto a Kobe nel 1995. Questo tragico avvenimento, che ha profondamente segnato il Giappone, a volte è semplicemente citato, altre volte ha un ruolo cruciale nella trama. Procediamo dunque con un commento del testo racconto per racconto.

Scheda del libro

Titolo Tutti i figli di Dio danzano
Autore Haruki Murakami
Data 2000
Pubblicazione italiana 2005
Editore Einaudi
Traduttore Giorgio Amitrano
Titolo originale 神の子どもたちはみな踊る [Kami no kodomotachi wa mina odoru]
Pagine 155
Reperibilità Reperibile online e in libreria

Atterra un Ufo su Kushiro

Il primo racconto di Tutti i figli di Dio danzano parla di un uomo, Komura, che da single ha avuto molte donne; da quando si è sposato, la sua vita ha trovato un perfetto equilibrio.

Alto e magro, elegante e dai modi piacevoli, Komura da scapolo aveva avuto molte donne. Ma da quando a ventisei anni si era sposato, il suo desiderio di eccitanti incontri sessuali si era esaurito di colpo, in modo perfino sorprendente. Nei cinque anni successivi al matrimonio non era stato a letto con altre donne che la moglie. Non che le occasioni gli fossero mancate. Ma aveva perso completamente interesse per i rapporti brevi e occasionali. Preferiva tornare a casa presto, cenare tranquillamente con la moglie, chiacchierare con lei sul divano, andare a letto e fare l’amore. Era solo questo che desiderava. Quando Komura si era sposato, amici e colleghi avevano espresso tutti, chi più chi meno, una certa perplessità. In confronto a lui, con il suo bel viso dai tratti regolari, la moglie appariva a dir poco insignificante. Ma non era solo un problema di aspetto fisico, anche la sua personalità era priva di fascino. Non parlava quasi mai, e la sua faccia era perennemente imbronciata. Era bassa, con le braccia grosse, e dava una generale impressione di ottusità. Eppure Komura, per ragioni che lui stesso non avrebbe saputo spiegare, quando era con la moglie sotto lo stesso tetto, sentiva ogni tensione allentarsi e riusciva finalmente a trovare pace. Grazie a lei la notte poteva dormire tranquillamente, senza quegli strani sogni che l’avevano sempre turbato. Le sue erezioni erano vigorose, e il sesso aveva un sapore di intimità. Aveva smesso perfino di angosciarsi per la morte, le malattie a trasmissione sessuale e la vastità del cosmo.

Da notare come Murakami sottolinei la fedeltà di Komura, quasi fosse scontato il tradimento dopo il matrimonio! In ogni caso, a una certa la moglie se ne va di casa e non torna più (lascia giusto una breve nota). Il protagonista del racconto decide quindi di fare un viaggio e consegnare un pacco alla sorella di un collega… e niente, i due si vedono insieme ad un’amica di lei, ci sono dei dialoghi senza senso e finisce così. Il racconto meno brillante di Tutti i figli di Dio danzano, che non riesco proprio ad inquadrare. Questa discussione, però, merita per il suo nonsense.

-C’era scritto che vivere con me era come avere accanto una bolla d’aria.
-Una bolla d’aria? – Shimao inclinò la testa perplessa, e guardò Komura in viso.
-Che cosa avrà voluto dire?
-Che sono privo di contenuto, credo.
-Che sei privo di contenuto?
-Forse ha ragione. Però non lo so. Sarò anche privo di contenuto, ma che cosa sarà mai questo contenuto?
-Già, sarei curiosa anch’io di sapere cosa potrebbe essere, – disse Shimao. – Mia madre andava pazza per la pelle del salmone, e diceva sempre: «Magari ci fosse un salmone che ha solo la pelle». Quindi possono esserci dei casi in cui è meglio non avere nessun contenuto. Non credi? Komura provò a immaginare un salmone fatto di sola pelle. Ma ammesso che potesse esistere un salmone così, il contenuto del salmone non sarebbe stato comunque la pelle? Komura tirò un sospiro profondo, e la testa della ragazza si sollevò e tornò giù.

Paesaggio con ferro da stiro

Questo racconto riguarda una coppia, Junko e Keisuke, e un misterioso uomo di mezz’età, Miyake, appassionato di fuochi da spiaggia. Proprio così, quest’uomo è molto meticoloso nella raccolta e nel posizionamento del legno: mette molta cura nei minimi dettagli affinché il fuoco si mantenga senza problemi.

-Non pensi che il fuoco si sia spento, Miyake? – chiese Keisuke timidamente.
-No, è tutto a posto. Il fuoco ormai ha attecchito, non c’è da preoccuparsi. Adesso sta solo facendo i suoi preparativi prima di divampare. Non vedi che continua a uscire il fumo? Non si dice «Se non c’è fuoco non si alza il fumo?»
-Se è per questo si dice anche «Se non c’è sangue non si drizza il pisello».
-Senti un po’, ma tu non pensi proprio a nient’altro? – fece Miyake, incredulo.
-Riesci davvero a capire che non si è spento?
-Certo che lo capisco. Da un momento all’altro comincerà a divampare.

Tra la ragazza, Junko, e il signore, Miyake, si sviluppa uno strano rapporto: lui la chiama per andare in spiaggia a fargli compagnia e lei puntualmente ci va. Miyake si è trasferito in questo paesino costiero proprio perché la corrente porta sulla spiaggia tantissima legna da ardere! Se c’è una cosa che mi è rimasta impressa di questo racconto è il sogno angosciante di quest’uomo…

– Tu hai mai pensato in che modo morirai? Dopo aver riflettuto qualche istante, Junko scosse la testa. -Beh, io ci penso spesso. -Tu come pensi di morire? -Chiuso dentro un frigorifero, – disse Miyake. – Si sente ogni tanto, no?, di bambini che per giocare entrano in un frigorifero abbandonato, la porta si chiude, il bambino rimane imprigionato e muore lì dentro. Questa è la morte che mi immagino. Un grosso ceppo di legno cadde su un lato, sollevando un pulviscolo di scintille. Miyake restò a guardare senza fare nulla. Il riflesso delle fiamme proiettava sul suo viso delle ombre stranamente irreali. -In un luogo stretto, al buio, io che muoio lentamente, poco alla volta. E se morissi soffocato, ancora mi riterrei fortunato, ma non è così facile. Un filo d’aria entra da qualche spiraglio. In questo caso non riesco a morire soffocato. Per morire si impiega un tempo incredibilmente lungo. Anche se urlo, non mi sente nessuno. Nessuno si accorge di me. È un posto talmente stretto che non riesco nemmeno a muovermi. Per quanto cerchi disperatamente di aprirla, la porta resta serrata. Junko non disse nulla. -È un sogno che si ripete infinite volte. Sogno di morire con terribile lentezza, dimenandomi e soffrendo nel buio più totale. Mi sveglio in piena notte, inzuppato di sudore. Ma il sogno non è finito. È questa la cosa più terrificante. Dopo essermi svegliato, ho la gola completamente secca. Allora vado in cucina e apro la porta del frigorifero. Naturalmente, siccome a casa non ho il frigorifero, dovrei capire subito che sto ancora sognando. Invece non me ne rendo conto. Penso solo che è strano, e lo apro. E dentro il frigorifero è tutto buio. La luce è spenta. Credendo che è andata via la corrente, metto dentro la testa. E allora dall’interno del frigorifero si allunga verso di me una mano che mi afferra per la nuca. È la mano gelata di un morto. La mano mi afferra il collo e con una forza incredibile mi trascina dentro il frigorifero. Io lancio un urlo terribile, e solo a questo punto finalmente mi sveglio davvero. Questo è il sogno. Ed è sempre sempre lo stesso. In tutti i particolari, dal primo all’ultimo. E ciononostante ogni volta mi terrorizza sempre allo stesso modo. Miyake con la punta del ramo spinse il tronco che si era rivoltato e lo riportò nella posizione iniziale. -È talmente reale che ho la sensazione di essere morto davvero non so più quante volte. -Da quanto tempo fai questo sogno? -Da tanto che non ricordo neanche più quando è cominciato. In passato ci sono stati anche dei periodi in cui me ne ero liberato. Per un anno… una volta addirittura sono stato due anni senza farlo. In quei periodi sembrava che anche tante altre cose si stessero mettendo bene per me. Però alla fine ritornava sempre. Quando pensavo «Meno male, sono salvo, è finita», era proprio il momento che ricominciava. E quando ricominciava, non funzionava più niente. Andava tutto a scatafascio. Miyake scosse la testa. -Scusami, non volevo affliggerti con questa storia deprimente. -No, figurati, – disse Junko. Quindi si mise una sigaretta fra le labbra e accese il fiammifero. Aspirò una boccata profonda. – Continua pure.

Ma poi dove ha sentito di bambini che muoiono chiusi dentro il frigorifero???

Tutti i figli di Dio danzano

Yoshiya si svegliò in preda ai terribili postumi di una sbornia. Cercò con tutte le forze di aprire gli occhi, ma non riusciva a muoverne che uno. La palpebra sinistra si rifiutava di fare ciò che le veniva chiesto. Gli sembrava che durante la notte la testa gli si fosse riempita di carie. Come se dalle gengive guaste colasse un liquido infetto che a poco a poco gli stava corrodendo il cervello dall’interno. Se non faceva qualcosa, avrebbe finito col liquefarsi.

Arriviamo al racconto che dà il titolo all’antologia: questa metafora come inizio lascia presagire qualcosa di interessante, non trovate? Ad ogni modo, Yoshiya cresce con la madre, estremamente religiosa, che lo convince di essere un figlio di Dio per il suo pene così grande. No, non sto scherzando!

La sua ragazza gli aveva detto di non aver mai visto un pene grande come il suo. «Grosso com’è, non ti dà fastidio quando balli?», gli aveva chiesto, prendendolo in mano. No, non direi che mi dia fastidio, aveva risposto Yoshiya. Effettivamente il suo pene era grande. Lo era sempre stato, sin da quando era bambino. Ma non si ricordava che ciò gli avesse mai procurato qualche vantaggio. Anzi, gli era successo più volte di ricevere rifiuti perché ce l’aveva troppo grosso. Per prima cosa la sua grandezza era eccessiva anche da un punto di vista estetico. Appariva ottuso, stupido e ingombrante. Lui faceva il possibile per non esibirlo. «Il fatto che hai un pisellino così grande, è un segno che sei figlio di Dio», gli aveva detto la madre, piena di convinzione, e lui ci aveva ingenuamente creduto. Ma a un certo punto tutto aveva cominciato a sembrargli una gran presa in giro. Lui aveva pregato di imparare a prendere al volo una palla, e per tutta risposta Dio gli aveva dato un pene più grande di tutti gli altri. In quale mondo si facevano scambi così strani?

Insomma, dopo questa rivelazione del passato di Yoshiya ci ritroviamo nel presente: il ragazzo incontra un uomo senza il lobo dell’orecchio sinistro ed inizia a inseguirlo (pensando fosse il padre). Tra l’altro, l’inseguimento avviene in un paesaggio abbastanza inquietante che mi ha ricordato Silent Hill… dopo un percorso molto tortuoso e complicato, una danza mistica e una sorta di epifania personale, Murakami ci regala una delle sue perle di saggezza:

In alcuni momenti chiave, Yoshiya riusciva a cogliere una visione d’insieme dei loro complessi intrecci. Diversi animali erano nascosti nella foresta, come in un’illustrazione cifrata. Vi apparteneva anche una belva spaventosa che non aveva mai visto. A un certo punto sapeva che avrebbe dovuto attraversare quella foresta. Ma non aveva paura. Cosa aveva da temere? Era la foresta che esisteva dentro di lui. E la belva quella che lui stesso portava con sé.

Thailandia

Satsuki è un medico che ha lavorato per anni in un ospedale negli USA, specializzandosi nella ricerca sulle funzioni immunitarie della tiroide; tuttavia, il rapporto col marito americano a un certo punto non ha funzionato più, per cui è tornata in Giappone a lavorare in un ospedale universitario di Tokyo. Nel presente racconto, Satsuki si fa una vacanza in Thailandia, da sola, assistita da un autista, un uomo di nome Nimit. I due stringono una sorta di amicizia, che spinge l’uomo a portarla da un’anziana donna che “cura la mente” (no, non una psicologa, una sorta di maga). Non vi riporto la conversazione che hanno avuto (altrimenti tanto vale quotare tutto il libro), però vi faccio leggere un brano che mi ha colpito tra Nimit e Satsuki:

-Lei è una bella persona, dottoressa. Forte, e dalle idee chiare. Ma sembra che si trascini sempre un peso nel cuore. È tempo che lei cominci a prepararsi per affrontare la morte con dolcezza. Se lei continuerà a investire troppe energie solo nel vivere, non riuscirà a morire bene. Un poco alla volta è necessario fare questo cambiamento. In un certo senso vivere e morire si equivalgono, dottoressa.
-Senta, Nimit, – disse Satsuki, togliendosi gli occhiali da sole e sporgendosi in avanti verso di lui.
-Cosa, dottoressa?
-Lei è riuscito a prepararsi per morire bene?
-Io sono per metà già morto, dottoressa, – rispose Nimit, come se dicesse qualcosa di ovvio.

Ranocchio salva Tokyo

Siamo arrivati alla star di Tutti i figli di Dio danzano: un racconto di puro realismo magico per come ci ha abituati questo grande autore! Esiste anche un’edizione illustrata da Lorenzo Ceccotti molto originale (faceva parte della collana del Corriere della Sera):

Art by Lorenzo Ceccotti

Quando Katagiri rientrò nel suo appartamento, ad attenderlo c’era un ranocchio gigante. Eretto sulle zampe posteriori, superava i due metri. E aveva anche un fisico massiccio. Katagiri, alto appena uno e sessanta e mingherlino, si sentí sopraffatto dal suo aspetto imponente. -Mi chiami Ranocchio, – disse il ranocchio con voce stentorea. Katagiri, ammutolito, restò fermo a bocca aperta nell’ingresso.

Katagiri, un uomo solitario che lavora in banca, si ritrova coinvolto in un’avventura fantastica contro un lombrico gigante che vive sottoterra in grado di generare terremoti. Mi ha colpito la sconvolgente umiltà e chiarezza con cui il protagonista parla di sé stesso:

-Io sono una persona molto comune. Anzi, dire comune è anche troppo. Sono mezzo calvo, ho la pancetta, il mese scorso ho fatto quarant’anni. Ho i piedi piatti, e mi hanno trovato una predisposizione al diabete. Dall’ultima volta che sono andato a letto con una donna, sono passati tre mesi. E si trattava di una prostituta. Come esattore, nel mio ufficio godo di una discreta considerazione, ma non c’è nessuno che mi rispetti. Sia nel lavoro che nella vita privata non c’è una sola persona che mi voglia bene. Parlo poco e sono timido, quindi non riesco nemmeno a farmi delle amicizie. Le mie capacità atletiche sono nulle, sono stonato, basso, ho una fimosi, e sono miope. E dimenticavo l’astigmatismo. È una vita da schifo. Tutto quello che faccio è dormire, alzarmi, mangiare, andare al gabinetto. Che vivo a fare, non lo so neanch’io. Perché un uomo come me dovrebbe salvare Tòkyo? -Signor Katagiri, – disse Ranocchio con voce dolce. – A salvare Tòkyo può essere solo una persona come lei. Ed è per le persone come lei che sto cercando di salvare questa città.

Davvero un bel racconto.

Torte al miele

Il racconto finale di Tutti i figli di Dio danzano è serio e introspettivo. Junpei, Takatsuki e Sayoko formavano un terzetto molto unito all’università. I tre si erano conosciuti su iniziativa di Takatsuki, un ragazzo molto espansivo e sicuro di sé, che decise ai tempi di stringere amicizia col protagonista e con Sayoko. Torte al miele ruota attorno alla storia di Junpei, che per un motivo o per un altro, non si ritrova mai a prendere decisioni di sua iniziativa. Uno dei racconti più seri di Murakami, che mi ha fatto ripensare a Silenzio, contenuto nell’antologia L’elefante scomparso e altri racconti.

Conclusioni

Tutti i figli di Dio danzano è un’ottima raccolta, breve e selezionata. Non è facile districarsi nella moltitudine di racconti di Murakami, che possono dare impressioni molto differenti in base alla propria soggettività. In alcuni casi mi è capitato di essere più duro nei suoi confronti, ma… come mi disse una mia amica: possiamo incazzarci con Murakami per essere a tal punto Murakami? Probabilmente no.

Ranocchio vi saluta! Art by Lorenzo Ceccotti

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2 risposte a “Recensione – Tutti i figli di Dio danzano di Haruki Murakami”

  1. Giada dice:

    Ebbene, questa raccolta è stata il mio primo approccio a Murakami. Direi che ho sempre avuto qualche problema con gli scrittori nipponici, ma ci riprovo sempre. Devo dire che non mi è spiaciuta questa raccolta, i racconti erano amabili, alcuni non li ho davvero capiti, ma ricordo che per me è stata una bella lettura.
    Cosa mi consigli adesso?

    1. Psicologorroico dice:Autore

      Allora se vuoi un consiglio relativo ad autori giapponesi, ti consiglio Seni e Uova di Mieko Kawakami (l’ho pure recensita sul sito https://www.psicologorroico.it/2020/12/13/recensione-seni-e-uova/): penso sia il mio libro preferito scritto da un’autrice nipponica. Se invece volevi un consiglio generico… prova la trilogia dei Lungavista di Robin Hobb (https://www.psicologorroico.it/2021/03/23/recensione-lapprendista-assassino-di-robin-hobb/)

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