Recensione – Nostalgia di un altro mondo di Ottessa Moshfegh

Nostalgia di un altro mondo è un’antologia di Ottessa Moshfegh, costituita da 14 racconti, pubblicati singolarmente su varie riviste nell’arco di dieci anni. Questa scrittrice mi è stata consigliata da un amico, che la apprezza particolarmente. Ho deciso quindi di buttarmi sui racconti, perché a mio avviso sono un buon modo per sondare il terreno quando non si conosce un autore!

Scheda del libro

Titolo  Nostalgia di un altro mondo
Autore Ottessa Moshfegh
Data 2017
Pubblicazione italiana 2018
Editore Feltrinelli
Traduttore Gioia Guerzoni
Titolo originale
Homesick for Another World
Pagine 198
Reperibilità Reperibile in cartaceo e in ebook

Racconti

Di norma mi piace commentare singolarmente i racconti di un’antologia: nel caso di Nostalgia di un altro mondo, invece, preferisco adottare un altro approccio e parlarne in base alla tematica. Vi immaginate mai in che modo le altre persone vivono la propria vita? Non so, forse ci facciamo un’idea un po’ basica: gente che lavora, torna a casa, si dedica a degli hobby, cose di questo tipo. È un po’ l’idea che mi faccio leggendo dei racconti di Murakami o guardando qualche serie tv americana. Nostalgia di un altro mondo ci presenta tanti personaggi che conducono una vita particolare: la Moshfegh è particolarmente brava a descrivere situazioni di degrado, sporcizia, ossessioni, meschinità e frustrazioni di vario genere. Ci sono degli elementi ricorrenti per tutti i racconti: dai denti neri e marci, alle donne che si truccano in modo pesante, ad un senso di disgusto generale: tutte cose che a loro modo colpiscono il lettore.

Disprezzo per il proprio lavoro

In più casi Ottessa descrive un odio profondo rispetto al proprio lavoro, soprattutto nel caso dell’insegnamento a scuola…

I miei studenti facevano tutti pena in matematica, quindi ero inchiodata con una classe di deficienti. Popliasti, il peggiore, riusciva a malapena a fare due più due. Era impossibile che i miei studenti riuscissero a superare quell’esame. Quando arrivò il giorno del test, la filippina e io ci guardammo, tipo, Chi vogliamo prendere in giro? Distribuii i fogli, feci rompere il sigillo, mostrai come riempire gli spazi nel modo corretto con le matite giuste, e dissi: “Fate del vostro meglio,” poi portai a casa i test e cambiai tutte le loro risposte. Non avevo nessuna intenzione di farmi fottere il lavoro da quei deficienti. “Eccezionale!” disse il signor Kishka quando vide i risultati. Mi fece l’occhiolino, alzò il pollice e si fece il segno della croce, poi si chiuse lentamente la porta alle spalle. Ogni anno la stessa scena.

Ossessioni

Due racconti hanno come oggetto l’ossessione scambiata per innamoramento: uomini che si innamorano perdutamente di donne con cui hanno a malapena scambiato qualche parola. Ad esempio, il signor Wu si invaghisce di una donna che lavora in una sala giochi, dove va appositamente solo per guardarla. Le sue fantasie sono descritte in modo minuzioso e particolareggiato:

C’era un bar karaoke sopra il negozio di alimentari all’angolo. Salì le scale. La donna al bancone gli diede una birra media e una ciotola di noccioline. Le mangiò in fretta, sorseggiò la birra e guardò fuori dalla finestra fumando e ripensando alla donna che si metteva quel rossetto burroso. La immaginò come la tenutaria di una squadra di prostitute adolescenti, che sgridava una di loro per non aver accontentato un cliente. Poi ebbe una visione orribile. La donna della sala giochi che lavava le parti intime della prostituta con la doccetta di una latrina. Ordinò un’altra birra. Non riusciva a credere alla propria mente. Immaginò la bocca della donna sulle parti intime della prostituta, che le puliva ogni angolo con la lingua, usando la lingua come una saponetta. “Mi piacciono gli uomini che non hanno paura di provare cose nuove.” E se le cose a cui pensava fossero proprio quelle cose disgustose che si stava immaginando? E se avesse voluto che lui le leccasse le parti intime così? Avrebbe potuto farlo? E se avesse voluto fare i bisogni sulla sua mano? E se gli avesse chiesto di leccargli le dita dopo aver usato la latrina? Non ce l’avrebbe fatta. E se avesse voluto pulirsi dopo aver fatto i suoi bisogni senza carta igienica, se si fosse leccata le dita e poi gli avesse chiesto di baciarlo sulla bocca? E dopotutto non avrebbe potuto sapere se si fosse pulita leccandosi le dita. Stanotte, a mezzanotte, magari gli avrebbe chiesto di baciarlo. Gli si riempirono gli occhi di lacrime. Spense la sigaretta. “Vuole cantare?” disse la donna dietro il bancone. Ma Wu era disgustato. Scese le scale. Fece una passeggiata vicino al dirupo e immaginò la donna della sala giochi che nuotava nei rifiuti. Se la immaginò che succhiava l’acqua sporca e la spruzzava dalla bocca come una fontana. Non bacerò mai quella donna sulla bocca, decise. Quella è una cosa che non farò mai. Eppure la amava ancora, si sforzò di pensare. Poteva ancora amarla.

In Danzando al chiaro di luna abbiamo un protagonista squattrinato, Nick, che spende tutti i suoi soldi in abiti costosi e vive in una pensione decrepita a New York. Un giorno si innamora di una donna incontrata per caso ad una rivendita…

Per il resto del pomeriggio guardai altri dvd e controllai la mail struggendomi per Britt Wendt. Fantasticavo sulla nostra vita insieme. Avremmo riempito di mobili un bilocale a Flushing, e cucinato arrosti bevendo vini costosi che potevamo permetterci solo abitando nel Queens. Le nostre conversazioni sarebbero state scoppiettanti di sarcasmo e sottigliezze, buffe e intelligenti come Woody Allen a metà carriera, le scopate intense e misteriose come un film di Werner Herzog. Riuscivo a immaginare Britt Wendt distesa a letto accanto a me, i capelli biondi crespi sparpagliati in un’aureola sfocata. Saremmo stati come tossici l’uno per l’altro, sempre lì ad allungare le mani gonfie per un altro tiro, il suo corpo pallido ricoperto di lentiggini, i capezzoli rosa come il tramonto. “Più hai l’alito cattivo appena sveglia al mattino meglio è baciarti,” le dicevo, infilando la lingua nella sua bocca calda, vellutata, acre. A quel punto ero single da più tempo di quanto sia sano per un giovane uomo rimanere single.

In entrambi i casi, queste fantasie si basano sul nulla: il signor Wu passa dal fare fantasie allucinanti al pensare di amare la donna della sala giochi; Nick invece fantastica nella sua mente una vita futura immaginaria. Il potere del cervello è veramente… esasperante. Complimenti alla Moshfegh per aver illustrato in modo esemplare il modo in cui funziona un’ossessione.

Vite ai margini

Molti dei personaggi di Nostalgia di un altro mondo vivono vite ai margini, mentendo continuamente, incastrati in relazioni insoddisfacenti e non facendo nulla per cambiare la situazione. L’autrice ci regala una lente di ingrandimento per vedere il quotidiano fatto di difetti e abitudini malsane. Questo sguardo morboso mette a fuoco cose che preferiremmo non vedere:

Penso che i miei genitori fossero troppo educati per fare domande sulla loro relazione, ma quando MJ la portò a casa il giorno del Ringraziamento, lo affrontai. “Stai approfittando di Carrie Mary perché è una ritardata mentale?” Mio fratello non mi rispose. Prese il pezzo di formaggio di capra che stavo spalmando sul pane tostato, lo buttò a terra e lo calpestò con le scarpe da tennis lerce. Lasciò tracce di formaggio di capra in tutta la casa e più tardi quella sera lo sentii che scopava Carrie Mary. Non avevo mai sentito nessuno prima di allora fare dei versi del genere, tipo un orso che ringhiava. Era così autentico che mi aveva terrorizzato. Per giorni non riuscii a guardarlo negli occhi.

***

Voltandomi mi trovai di fronte il suo inguine – un tenero triangolo rigonfio e diviso dalla spessa protuberanza dalla cerniera, cosce grosse che tiravano la lana rossa dei pantaloni. Una chiave minuscola pendeva dalla spirale di un cavo bianco da telefono che teneva legato al polso. Pizzicava la spirale con le unghie lunghe, scheggiate. Dovevo sposarla. Se non ci fossi riuscito mi sarei suicidato. Cominciai a sudare, come se fossi sul punto di vomitare.

***

Un mattino, mentre tornavo a casa dal negozio dei panini e dal deposito degli autobus, superai una di quelle vendite di roba usata in cortile. La solita robaccia: berretti da baseball, utensili da cucina in plastica, vestiti da neonati ripiegati in cubetti minuscoli sparpagliati su lenzuola a fiori piene di macchie. Gli unici libri che si trovavano in quelle vendite erano tascabili da supermercato o libri per cucinare con il microonde. E comunque non mi piaceva leggere quando ero ad Alna. Non avevo pazienza. Quel giorno mi cadde l’occhio su una lampada abbronzante alta, grigia, di metallo. Il pezzo di scotch di carta sulla base era scarabocchiato in rosso: tre dollari. Non mi importava che funzionasse: aggiustarla mi avrebbe tenuta occupata almeno un pomeriggio. Ne valeva la pena. “A chi do i soldi?” dissi al gruppetto di donne sedute sui gradini. Avevano tutte gli stessi capelli piatti, lunghi, marroni, gli stessi occhi socchiusi, le bocche carnose, le gole da rana, ed erano così grasse che il seno poggiava sulle ginocchia. Indicarono la matriarca, una donna enorme seduta su uno sgabello da pianoforte all’ombra di una grande quercia. Aveva l’occhio sinistro così gonfio che era chiuso, lividi neri, gialli e bluastri. Le diedi i soldi. La sua mano era piccola, grassoccia, come quella di una bambola, con le unghie dipinte rosso fuoco. Infilò la banconota nella tasca del vestito da casa logoro, si sfilò un lecca lecca dalla bocca e sorrise, mostrandomi – non senza una certa ostilità – una fila solitaria di denti marci fino ai monconi, come quelli dei neonati. Sarà stata più o meno della mia età, ma sembrava avesse cent’anni di sofferenze alle spalle – nessun amore, nessuna trasformazione, nessuna gioia, solo cibo schifoso e brutta televisione, uomini orribili e cattivi che strisciano dentro e fuori stanze soffocanti per approfittare del suo ventre e della sua massa impassibile. Ben presto una di quelle discendenti obese avrebbe occupato il suo trono e regnato sulla miserabile esistenza della famiglia, i cuori palpitanti di quelle giovani donne simbolo della loro inutilità. Veniva da pensare, vedendole sedute là a scivolare pian piano verso la morte a ogni respiro, che sarebbero uscite tutte fuori di testa. Ma no, erano troppo stupide per la pazzia. “Ricca stronza,” immaginavo avesse pensato la madre mentre si ficcava di nuovo il lecca lecca in bocca.

Considerazioni conclusive

Se dovessi avanzare una critica rispetto a Nostalgia di un altro mondo, farei riferimento alla ripetitività dei racconti stessi. Il canovaccio è sempre lo stesso: viene presentato un personaggio e ci viene descritta la sua vita; a questo punto entra in gioco un altro personaggio, i due interagiscono e fine. Non mancano racconti in cui non c’è una reale conclusione. Purtroppo il limite di questa antologia è che nessun racconto risalta davvero, ma non perché manchi di qualità, ma perché la sensazione di disgusto e alienazione è globale. Probabilmente questa autrice rende meglio in un romanzo, dove le singole caratteristiche possono essere approfondite e sviluppate in una trama coerente. Presi singolarmente, o inseriti in un’antologia di più autori, sicuramente risalterebbero. Ciononostante, non mi sono affatto pentito di aver letto Nostalgia di un altro mondo, tutt’altro! Mi ha completamente trascinato, tant’è che ho letto tutto in due giorni! Se volete qualcosa che vi lasci pieni di repulsione… beh, questa antologia fa per voi!

Comincia la discussione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *