Recensione – L’assassino: il ritorno di Robin Hobb

Avrei tanto voluto leggere questo libro quando è stato pubblicato. Chissà che emozione hanno provato gli amanti di Robin Hobb, dinanzi questo regalo finale inaspettato. Questo ritorno al nostro amatissimo Fitz! Io, appena finito di leggere Il sangue dei draghi, non ho potuto fare a meno di iniziare subito L’assassino: il ritorno. Che dire, sono una bimba di Fitz (è un’ottima idea per iniziare una pagina Facebook, se solo Facebook non fosse ormai inutile): ho amato ogni singola pagina di questo libro. L’esperienza di lettura è stata pazzesca: sono entrato dentro un vortice di nostalgia e ne sono uscito piangendo e con un mal di testa tremendo. È l’effetto Robin Hobb, oppure l’effetto Fitz: sono davvero grato a questa autrice per la storia che ha creato. Come al solito, l’articolo è rivolto a chi ha già letto il libro, perché gli spoiler non sono nascosti!

Scheda del libro

Titolo  L’assassino: il ritorno
Autore Robin Hobb
Data 2014
Pubblicazione italiana 2015
Editore Sperling & Kupfer
Traduttore Maria Concetta Scotto di Santillo
Titolo originale
Fool’s Assassin
Pagine 608
Reperibilità Reperibile in cartaceo e in ebook

Trama

L’assassino: il ritorno inizia qualche anno dopo Il destino dell’assassino: ritroviamo Fitz a Giuncheto insieme a Molly, e la vita scorre tranquilla e serena. Fitz ha messo da parte la sua vita da assassino e si dedica alla casa, a sua moglie e alle incombenze quotidiane. Chiaramente, questa serenità è destinata a finire: la vita di Fitz è destinata ancora a cambiare, con parecchi sconvolgimenti a vario livello.

flareon Molly

Quella che era una storia infantile adesso è diventata una storia adulta e matura: Molly e Fitz sono felici insieme a Giuncheto. Non c’era ancora stato spazio per vedere a fondo la loro relazione, e L’assassino: il ritorno ci dà questa prospettiva nuova. Ho apprezzato vedere i primi capitoli così spensierati e leggeri, conscio che sarebbe arrivata qualche mazzata (è un libro scritto da Robin Hobb, figuriamoci)… e infatti accade qualcosa di inaspettato: Molly, nonostante non abbia più il ciclo da anni, è incinta. Inizialmente, Fitz e Urtica sono dubbiosi ma felici, eppure dopo arrivano i dubbi… il tempo passa, ma Molly non partorisce. E questo va avanti per più di due anni, finché non nasce una minuscola bambina, che decidono di chiamare Ape. Iniziano le mille paranoie di Fitz su come gestire questa bambina, che vorrebbe tenere nascosta, anche perché cresce molto, molto lentamente. La situazione è così peculiare che tutti pensano che Ape abbia un ritardo mentale: solo Molly si comporta con lei in modo naturale, passando tutto il tempo possibile con lei. È proprio dal punto di vista di Ape (ci tornerò dopo) che assistiamo alla morte, improvvisa, di Molly: una scena straziante, soprattutto per il lutto che vive dopo il nostro Fitz. Molly è un personaggio molto controverso nella saga della Hobb: a me è sempre piaciuta, e mi è dispiaciuto molto vederla morire così.

Ci sono dei finali. Ci sono degli inizi. A volte coincidono, con la fine di una cosa che segnala l’inizio di un’altra. Altre volte, invece, alla fine segue un lungo intervallo, un tempo in cui sembra che si sia concluso tutto e non potrà mai più cominciare niente. Quando morì la mia Molly, la custode del mio cuore fin da quando ero bambino, per me fu così. Lei finì, ma non cominciò nient’altro. Non c’era niente a distogliere la mia mente da quel vuoto, niente che alleviasse il mio dolore, niente che desse un senso alla sua morte. Anzi, la sua morte riaprì le ferite mai completamente rimarginate di altri finali che avevo vissuto.

flareon Ape

La grande rivoluzione de L’assassino: il ritorno viene portata avanti da Ape: per la prima volta, abbiamo un punto di vista differente da quello di Fitz. Siccome il personaggio mi piace, per me non è stato un problema. Ape cresce molto lentamente, ma la sua mente corre molto veloce: è intelligente, possiede sia l’Arte, sia lo Spirito, sia i sogni premonitori tipici dei Bianchi. Mi ha molto ricordato il classico personaggio “prescelto” dei libri. Solo che, essendo una bambina, la sua capacità di interpretare il mondo è comunque limitata (in modo abbastanza realistico). Ape si sente fin da subito travolta delle emozioni del papà, da cui inizialmente si tiene a distanza; inoltre è capace di comunicare con gli animali. Al momento, nessuno la addestra in queste abilità.

«Un giorno tornerà?» mi chiesi ad alta voce. Sarebbe tornato per portarmi via mio padre?
Lui cadde di nuovo in quello strano stato di torpore. Poi lentamente scosse il capo. «Non credo. Credo che se avesse avuto intenzione di tornare o di mandarmi una lettera, a quest’ora lo avrebbe già fatto. Prima di andarsene mi disse che il lavoro che lui e io dovevamo fare era concluso, e che se mi fosse rimasto accanto, avremmo rischiato di distruggerlo. E quindi tutto quello che avevamo passato sarebbe stato inutile.»
Mi sforzai di dare un senso a quello che mi stava dicendo. «Come l’errore dei burattinai.»
«Cosa?»
«Quella volta che durante una tempesta arrivarono dei burattinai e la mamma li accolse in casa. Misero su il teatrino nella Sala Grande e, sebbene fossero stanchi, ci fecero un piccolo spettacolo.»
«Me lo ricordo. Ma quale fu l’errore?»
«Alla fine, il Soldato Blu uccide il Cinghiale dalle Zanne Rosse e libera la Nuvola della Pioggia per far piovere sulla terra e far crescere i raccolti. La storia avrebbe dovuto concludersi qui. Però quando stavano calando il sipario, vidi il Soldato Blu appeso ai fili accanto al Cinghiale dalle Zanne Rosse, con le zanne infilate nella pancia del soldato. Perciò capii che alla fine il Cinghiale era tornato e aveva ucciso il soldato.»
«Be’, no, Ape. Quello non c’entra niente con la storia! È stato solo un incidente capitato quando hanno messo via le marionette.»
Non capiva proprio. Allora glielo spiegai. «No. Era la storia successiva. Come il tuo amico ha detto che sarebbe potuto succedere. Un incidente quando tutto sembra concluso.»
Lui mi guardò con i suoi grandi occhi scuri, due abissi che celavano ancora ferite che non si sarebbero mai rimarginate. Mia madre era sempre stata in grado di mitigare quell’aspetto di lui, però io non sapevo come fare. Forse ormai nessuno ne sarebbe stato più capace. «È tardi», disse all’improvviso.

Adoro questa discussione metanarrativa. Una storia non ha mai una fine: il finale è un punto che stabiliamo in modo arbitrario, ma dopo succedono altre cose. Un po’ come noi che ci immaginiamo Fitz che vive “felice e contento” con Molly, Pazienza e tutti gli altri a Giuncheto. Eppure la storia continua. Pazienza muore, nasce Ape, Molly muore, il Matto ritorna… e così via.

flareon Robin Hobb maestra di vita

Alcuni pensieri, alcuni dialoghi, rimangono impressi a prescindere dal contesto: è lì che Robin Hobb parla di vita vera, che mi commuovo così facilmente perché sento quei pensieri così personali!

Nei mesi successivi al mio ritorno a Castelcervo, avevo scoperto finalmente, e improvvisamente, di avere una vita mia. Un’esperienza esaltante. Lui mi aveva augurato di trovare la mia strada nel mondo, e non avevo mai dubitato della sua sincerità. Ma mi ci erano voluti anni per accettare che la sua partenza fosse stata un atto deliberato, deciso da lui, l’atto finale di una storia che la mia anima desiderava che continuasse con un suo eventuale ritorno. Credo che sia questo il trauma per la fine di ogni rapporto. La presa di coscienza che, per quanto uno ritenga la relazione ancora in corso, l’altra persona la considera definitivamente conclusa.

Fitz qui parla del Matto, ma quante volte ci siamo trovati davanti a una relazione chiusa da un’altra persona in modo definitivo? Quella consapevolezza che, quale che sia il rapporto, uno dei due ha la possibilità di porvi fine in qualsiasi momento, senza spiegazione. Sono esperienze così universali che penso tocchino chiunque.

flareon Fizzino mio

Vale la pena di leggere L’assassino: il ritorno solo per reimmergersi nei pensieri e nelle emozioni di Fitz. Chi si è innamorato di questa saga non può non amare questo personaggio. La sua malinconia, la sua tendenza a deprimersi, la profondità delle sue riflessioni: capita spesso di volerlo prendere a testate, soprattutto quando non ragiona come dovrebbe. Fitz tende spesso a pensare a chi non c’è, invece di concentrarsi su chi è rimasto: è esemplare questa conversazione con la figlia Urtica.

Urtica mi parlò in tono più dolce e gentile di quanto meritasse quella mia affermazione egocentrica. «Allora la soluzione è semplice. Vieni via da Giuncheto. Lascia che siano il sovrintendente e i domestici a occuparsene. Fa’ i bagagli e torna con me alla Rocca di Castelcervo.»
Aprii la bocca per parlare, ma non mi venne in mente niente da dire. Non avevo mai preso in considerazione l’idea di tornare a Castelcervo un giorno. Una parte di me esultò a quel pensiero; non c’era motivo di affrontare quell’abisso di solitudine. Potevo sfuggirgli. A Castelcervo avrei rivisto i miei vecchi amici, le sale del castello, le cucine, le terme, le stalle, le stradine arroccate del borgo…
Però altrettanto rapidamente il mio entusiasmo svanì, lasciando un vuoto. Molly, Burrich, Veritas, Sagace… non c’era più nessuno di loro. Nemmeno Occhi-di-notte. La voragine aperta da quelle assenze si spalancava maggiormente a ogni morte che ricordavo. E nemmeno il Matto.
«No», dissi. «Non posso. Non c’è niente là per me. Soltanto intrighi e giochi di potere.»
La compassione che avevo letto sul suo volto scomparve. «Già, niente», commentò asciutta. «Soltanto io.» Si schiarì la voce. «E Umbra e Devoto e Kettricken e Ciocco.»
«Non era questo che intendevo dire.» All’improvviso mi sentii troppo stanco per dare spiegazioni. Ma ci provai lo stesso. «La Rocca di Castelcervo che conoscevo non esiste più. E là la vita è andata avanti senza di me per troppi anni. Non so se riuscirei a trovare una mia collocazione. Non come FitzChevalier Lungavista, poco ma sicuro. Non come assassino e spia della famiglia reale. E nemmeno come Tom lo Striato, il vassallo. Un giorno, verrò a trovarvi per una settimana, o magari anche un mese, e riabbraccerò tutti. Però non per restare, mia cara. E di certo non adesso. Il pensiero di andare da qualche parte, incontrare vecchi amici, mangiare e bere, ridere e chiacchierare… no. Non me la sento.»

Fitz non intende mai, eppure dice. Inoltre, come è possibile che gli sia sfuggita tutta la questione del “figlio inaspettato”? Ape nasce dopo due anni di gravidanza, cresce lentissima… il suo modo di pensare da assassino lo avrebbe dovuto condurre a fare un qualche ragionamento a riguardo! E invece niente. Chissà come sarebbero potute andare le cose con più accortezza ma… ci sono troppe profezie e percorsi che si incrociano in un determinato modo per fare questo tipo di ragionamento. In ogni caso, appena ritrovato il Matto gravemente ferito, Fitz non esita per portarlo a Castecervo tramite i Pilastri, affidando la bimba a Sciò e Lante…

flareon Sciò e Lante

Due nuovi personaggi vengono attenzionati ne L’assassino: il ritorno: Sciò e Lante, due personaggi scomodi che, a detta di Umbra, è meglio proteggere a Giuncheto. La loro storia viene appena accennata, e i due hanno poco spazio nel libro; il poco spazio che hanno li ha resi abbastanza sgradevoli (per quanto verosimili) ai miei occhi. In particolare Sciò si comporta come una nobildonna piena di pretese e richieste: siamo abituati a Fitz e Molly, entrambi molto umili nonostante le loro ricchezze, quindi è stata una prospettiva interessante. Lante è ancora meno rappresentato, se non in uno sgradevole scambio di battute con Ape. Tutti sembrano fidarsi di lui senza spiegare il perché. Forse, se fosse stato dato più spazio a questi personaggi li avrei apprezzati di più.

flareon Menzione d’onore

Occhi-di-notte in qualche modo riesce ad arrivare alla coscienza di Ape. Se con Fitz è solo un ricordo, com’è possibile che Ape lo percepisca? Non so se ci sarà una risposta a ciò, ma io nel frattempo mi godo queste scene.

Entrai, chiedendo sotto voce: «Papà?»
«Sono qui», rispose. «Sono sempre qui per te.»
Il grande lupo grigio disteso davanti al focolare si alzò a sedere lentamente. La lunga lingua rosa gli penzolò dalle zanne quando sbadigliò; si stiracchiò, e gli artigli neri spuntarono dalle zampe per poi ritrarsi. Mi guardò con i profondi occhi marroni e sorrise. «Padre Lupo?»
«Sì.» Lo fissai sbigottita.
«Non capisco», mormorai. «Non devi capire», replicò lui rassicurante. «Capire il come e il perché raramente è utile quanto capire che le cose sono. Io sono.» La sua voce era calma e profonda. Mi avvicinai piano a lui. Era molto alto, nonostante fosse seduto, con le orecchie dritte e gli occhi che seguivano i miei movimenti. Quando gli fui quasi accanto, lui fiutò il mio odore e disse: «Hai avuto paura».
«C’era un macellaio di cani al mercato. Mio padre non ha potuto fare niente per quella povera creatura, se non mettere fine alle sue sofferenze. Poi ha ferito qualcuno, l’ha guarito e se ne sono andati via insieme. E mi ha lasciata sola.»
«Non sei sola quando ci sono io. Io sono il padre che è sempre con te.»
«Come fa un lupo a essere mio padre?»
«Certe cose sono e basta.» Si stiracchiò di nuovo davanti al fuoco. «Forse sono quella parte di tuo padre che non smette mai di pensare a te. O forse sono quella parte del lupo che non è morta, quando il resto è finito.» Volse lo sguardo verso la pietra intagliata sulla mensola del caminetto. La guardai anch’io. Aveva tre facce, mio padre, un lupo e… rimasi di stucco.
«Era lui. Solo molto più vecchio. E cieco e pieno di cicatrici.»
«Il Senza Odore. Adesso capisco perché tuo padre se n’è andato. Doveva farlo.»
«Non era senza odore. Era un vecchio mendicante sporco e puzzolente.»
«Ma non era il suo odore personale. Lui e tuo padre sono un branco. Anch’io ho passato molti giorni in sua compagnia.» Padre Lupo mi guardò fisso. «Certi richiami non si possono ignorare, per quanto ti spezzino il cuore.» Mi sedetti lentamente accanto a lui. Mi guardai i piedi, ora grigi con piccole unghie nere. La vestaglia era cambiata. La pelliccia di lupo che era all’interno, adesso era all’esterno. Mi accoccolai al suo fianco e appoggiai il mento sulle zampe.
«Mi ha lasciata. Il Senza Odore per lui è più importante di me.»
«Non è vero. Il suo bisogno doveva essere più grande, tutto qui. Arriva sempre il momento in cui un cucciolo deve imparare a cavarsela da solo. Tu ce la farai, purché la smetti di compatirti. L’autocommiserazione peggiora soltanto le cose. Non perdere tempo a piangerti addosso. Tuo padre tornerà. Lo fa sempre.»
«Ne sei proprio sicuro?» Io non lo ero.
«Sì», rispose deciso.
«E finché non tornerà, io sono qui.» Chiuse gli occhi. Io lo studiai: la luce del fuoco gli accarezzava la morbida pelliccia e lui odorava di buono, di natura selvaggia e incontaminata. Anch’io chiusi gli occhi.

flareon Il finale

Ape e Fitz si dividono nel finale: Ape torna a Giuncheto con Sciò e Lante, Fitz si reca a Castelcervo con il Matto e Rompicato. Il Matto si riprende grazie alla forza presa in prestito dall’amico, anche se il suo corpo è devastato dalla tortura. A Giuncheto, invece, assistiamo all’attacco dei Servi, che vogliono rapire Ape, la quale prova a proteggere i bambini e poi scappare, senza riuscirci. Sembra come che Fitz sia condannato a ripetere sempre gli stessi errori: questa volta ce l’ha messa tutta per essere un padre amorevole e presente, eppure per una congiunzione di eventi non ha saputo proteggere la sua bambina. Mi chiedo in che misura il senso di colpa influirà nei libri a venire…

Conclusioni

Robin Hobb ritorna col botto! Quanto mi era mancato leggere di Fitz… non posso che confermare la mia idea su questa saga: bellissima!

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