Recensione – L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio di Haruki Murakami

L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio mi è stato consegnato da mio padre subito dopo la sua uscita in edicola. Casualmente diedi un’occhiata alla quarta di copertina ed un elemento in particolare catturò la mia attenzione: la storia di un’amicizia meravigliosa finita bruscamente e senza spiegazioni. Per la prima volta mi imbattevo in un testo di narrativa giapponese incentrato sull’amicizia, una tematica che risuona dentro di me in modo particolare. Inoltre, si trattava del primo romanzo di Murakami che mi attirasse davvero… non ho resistito. L’ho letto tutto d’un fiato in tre giorni. Non mi capitava di essere preso così tanto da un libro da tanto tempo, e devo ammettere che non mi era mai successo con un romanzo giapponese. Questo entusiasmo mi ha portato a leggere subito un altro libro di Murakami, ma questa è un’altra storia.

Scheda del libro

Titolo L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio
Autore Haruki Murakami
Data 2013
Pubblicazione italiana 2017
Editore Einaudi
Traduttore Antonietta Pastore
Titolo originale 色彩を持たない多崎つくると、彼の巡礼の年 [Shikisai o motanai Tazaki Tsukuru to, kare no junrei no toshi]
Pagine 305
Reperibilità Reperibile online e in libreria

Trama

Tazaki Tsukuru è un uomo di 38 anni che non si ritiene particolarmente brillante o dotato di personalità: è incolore, neutro, la sua presenza è irrilevante. A poco a poco Murakami ci disvela parti della sua vita, dall’adolescenza alla giovinezza fino al momento presente. Un evento che ha segnato per sempre la vita di Tsukuru riguarda la conclusione di un rapporto strettissimo con altri 4 ragazzi, con cui formava un gruppo solido e affiatato. I cinque, tre maschi e due femmine, hanno vissuto gli anni scolastici sempre insieme, condividendo tutto. L’unica regola non scritta era quella di mettere da parte l’inevitabile tensione sessuale che poteva o non poteva esserci tra i membri. Tsukuru, finita la scuola, decide di trasferirsi a Tokyo, dove c’è un corso specifico per progettare stazioni, la sua più grande passione; gli altri quattro rimangono a Nagoya. Tuttavia, durante il secondo anno di università, i 4 decidono di chiudere completamente i rapporti con Tsukuru, senza dare spiegazioni. Il giovane, che al suo tempo non insiste più di tanto, reagisce con un esaurimento nervoso.

“Dal mese di luglio del suo secondo anno di università fino al gennaio seguente, Tazaki Tsukuru aveva vissuto con un solo pensiero in testa: morire. Nel frattempo aveva compiuto vent’anni, ma raggiungere la pietra miliare della maggiore età non era stato per lui un evento particolarmente significativo. Metter fine ai suoi giorni gli sembrava la cosa piú naturale e coerente. Per quale motivo, però, non avesse fatto quell’ultimo passo, ancora oggi non riusciva a capirlo”

Gran parte del romanzo ruota alla tematica dell’abbandono: Tsukuru si ritrova solo e senza amici, e anche in seguito avrà difficoltà a legarsi con le persone, giungendo ad un’amara conclusione.

“È probabile che il mio destino sia di rimanere solo, finí col pensare. Le persone si avvicinavano e poi, a un certo punto, se ne andavano. In lui non riuscivano a trovare quello che cercavano, oppure, trovandolo, non ne erano soddisfatte, e si allontanavano rassegnate, o deluse, o arrabbiate. Per questo un bel giorno, all’improvviso, si dileguavano. Senza una spiegazione, senza neanche un addio. Come un’accetta affilata e silenziosa taglia di colpo un’arteria che pulsa piano piano, un’arteria che palpita per il caldo sangue che vi scorre dentro.
Doveva esserci qualcosa in lui che, in un modo o nell’altro, deludeva tutti. – L’incolore Tazaki Tsukuru, – disse ad alta voce. In conclusione, non aveva assolutamente nulla da dare alla gente. Anzi, per dirla tutta, non aveva nulla da dare nemmeno a se stesso.”

Questo pesante bagaglio emotivo e relazionale viene affrontato da Tsukuru in età adulta, quando Sara, una donna che frequenta, gli suggerisce di scavare nel passato per scoprire il motivo per cui gli amici lo hanno abbandonato.

Stile

Lo stile di Murakami è davvero didascalico: gli amici vengono descritti a mo di “listone”, senza descrizioni dinamiche. Nei dialoghi riesce meglio. Nel complesso non mi è pesato più di tanto perché la trama è interessante. Vi metto un esempio di dialogo sotto spoiler (uno dei dialoghi finali del libro).

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– Non lasciartela scappare, Tsukuru, – disse alla fine. – Lo penso davvero. Non importa quanto complicata sia la situazione ora. Se la perdi adesso, forse in futuro non riuscirai piú a trovare nessuno. – Ma non ho fiducia in me stesso. – Perché? – Perché non ho un’indentità. Non ho nessuna caratteristica, sono incolore. Non ho nulla da offrire. Questo è il mio problema, da sempre. Da sempre mi sento poco piú che un guscio vuoto. Come recipiente, può darsi che abbia una forma soddisfacente, ma dentro non ho nulla che si possa veramente definire un contenuto. Non credo di essere alla sua altezza. Col passare del tempo Sara mi conoscerà sempre meglio, e rimarrà delusa. Finirà per abbandonarmi. Non lo pensi anche tu? – Tsukuru, devi avere piú fiducia in te, piú coraggio. Io mi ero innamorata di te, no? C’è stato un tempo in cui ho pensato di gettarmi fra le tue braccia, di fare per te tutto quello che mi avessi chiesto. Una ragazza nelle cui vene scorreva sangue ardente è arrivata a desiderare seriamente tutto questo. Ecco il valore che hai. Non sei affatto vuoto, credimi! – Sono felice che tu mi dica questo, – rispose Tsukuru. – Davvero. Ma per il momento non so… Ho già trentasei anni, ma quando comincio a riflettere su me stesso, su quello che sono, mi sento perduto come un tempo, anzi peggio. Non so decidere cosa sia meglio fare. Tanto piú che è la prima volta in vita mia che provo un sentimento cosí forte per qualcuno. – Ma senti, supponiamo pure che tu sia un contenitore vuoto. E allora? – fece Eri. – In tal caso, puoi essere un contenitore magnifico. Nessuno conosce veramente se stesso. Non credi? A un contenitore che ispira molta simpatia, magari a qualcuno viene voglia di metterci dentro qualcosa, cosí, d’impulso. Tsukuru rifletté su quelle parole. Capiva quello che lei voleva dirgli. Ma si chiedeva se il concetto si adattasse a lui. – Quando tornerai a Tōkyō, – disse Eri, – raccontale subito tutto. Ecco quello che devi fare. Essere sinceri è sempre la cosa migliore. Però non dirle che l’hai vista insieme a quell’uomo. Questo tienitelo per te. Non sempre, a noi donne, piace essere viste di nascosto. Ma a parte questo, dille tutto. Aprile il tuo cuore. – Ho paura. Ho paura di fare, o di dire, qualcosa di sbagliato, e di perdere tutto, di vedere tutto svanire nell’aria. Eri scosse la testa. – È come costruire una stazione. Una cosa bella e di valore, che è stata importante anche per poco tempo, non sparisce nel nulla per un piccolo errore. Cominciamo col costruirla, la stazione, anche se non è perfetta. Se non ci fossero le stazioni, i treni non potrebbero fermarsi lí e non potremmo incontrare le persone a cui vogliamo bene. Se poi si scoprono dei difetti, si può sempre rimediare dopo. Prima di tutto costruisci la stazione. Una stazione speciale per lei, dove il treno desideri fermarsi, in cui trovare un rifugio, cosí, anche senza uno scopo preciso. Cerca di immaginarla nella tua mente, quella stazione, di darle concretamente forma e colore. Poi incidi con un chiodo il tuo nome sulla base, e soffiaci la vita. Questa forza ce l’hai. Non hai attraversato a nuoto, da solo, il mare di notte?

Cosa ne penso

Ne L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio si toccano varie tematiche: l’amicizia, l’amore, la perdita, la morte… non mancano gli interessi trasversali dell’autore, che compaiono sistematicamente in ogni suo romanzo, ad esempio l’amore per la musica jazz. Murakami scava nella vita e nei pensieri di un uomo che si sente costantemente svalutato e abbandonato: non è un romanzo leggero e spensierato.

Considerazioni spoilerose

Alcune considerazioni indirizzate a chi ha già letto il libro:

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Il cammino simbolico e allo stesso tempo concreto porta Tsukuru a confrontarsi con tutti i suoi amici, che fanno emergere il motivo per cui sono scomparsi: Shiro sosteneva che Tsukuro l’avesse violentata durante un weekend a Tokyo. Ovviamente non è successo niente del genere (sebbene il protagonista finisca per chiedersi se non sia successo in un’altra realtà), ma tutti hanno preso istintivamente le parti della ragazza. Una storia molto amara che Tsukuru finalmente dissotterra grazie a Kuro, che ormai si è trasferita in Finlandia. Non è possibile chiedere a Shiro perché era morta da qualche anno. Tsukuro, grazie alla spinta di Sara, riesce a risolvere quel nodo del suo passato che tanto ha condizionato la sua vita e che lo ha portato sulla soglia della morte: non ci è dato sapere, tuttavia, qual è il destino della sua storia d’amore. Il romanzo infatti termina appena prima dell’incontro chiarificatore tra Tsukuro e Sara (lui l’ha vista passeggiare con un uomo e vuole capire la situazione). Una scelta che ho trovato un po’ pigra, ma mi auguro con tutto il cuore che il protagonista possa avere un lieto fine, considerando quante cose gli son capitate.

Conclusioni

L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio è un romanzo solido e intrigante, con una storia che si dispiega come un mistero da scoprire, toccando in profondità le corde dell’animo umano. La componente onirica è presente, ma in misura molto minore rispetto agli altri suoi lavori. Potrebbe essere un buon punto di partenza per approcciare a Murakami, tenendo conto che comunque i contenuti trattati sono pesantucci.

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